Un “decalogo” senza il quale le comunità non possono riscoprire l’umanesimo. Ad offrirlo ai delegato diocesani al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, riuniti a Cefalù (16 – 18 gennaio 2015) è mons. Antonio Staglianò, vescovo di Noto e delegato regionale al Comitato preparatorio del V Convegno ecclesiale nazionale.
Filo conduttore del decalogo è “la misericordia che edifica le nostre comunità nella profezia. Nessuno ci impedisce di sognare, purché i sogni vengano fatti a “occhi aperti”. La profezia – ha detto – non ha nulla a che vedere con l’anticipazione del futuro, ma è piuttosto la capacità di riconoscere il futuro di Dio nel presente dell’uomo, dinamizzando il cammino dell’umanità con la speranza, con lo sguardo puntato sull’Eschaton, il paradiso della nostra beatitudine e della nostra pace”.
Ecco, dunque, il decalogo:
“Misericordia io voglio”: voglio, cioè, comunità riconciliate dalla misericordia di Dio, che sanno
riconoscere i propri peccati, assumono uno stile di vita penitenziale e apprezzano il perdono di Dio
comunicandolo agli altri, contro ogni orgoglio di perfezionismo e contro ogni presunzione di autosufficienza.
“Misericordia io voglio”: voglio, cioè, comunità che si lascino istruire dalle beatitudini, capaci di
indignarsi nel vedere la “potenza del male” nella storia e di lottare contro l’ingiustizia e la violenza perpetrate soprattutto nei confronti dei più deboli e dei più indifesi.
“Misericordia io voglio”: voglio, cioè, comunità eucaristiche che dall’eucaristia celebrata nei templi – insieme, nella potenza del loro essere “comunione” -, passino all’eucarestia vissuta nelle strade degli uomini, nell’attenzione agli innumerevoli bisogni e alla tantissime fragilità del nostro territorio umano, contro la freddezza dell’indifferenza e della non curanza di tanti cuori duri come pietra.
“Misericordia io voglio”: voglio, cioè, comunità cristianamente devote che si facciano carico dei
poveri e degli afflitti del territorio della Diocesi, anzitutto, allargando poi lo sguardo al mondo intero, contro certo “devozionismo” che porta allo spreco delle risorse comuni e non fa mangiare ai poveri Lazzaro nemmeno le “briciole” che cadono dalla mensa imbandita e “grassa” dell’Occidente opulento (cfr. Lc 16,19-21).
“Misericordia io voglio”: voglio, cioè, comunità aperte e generose, contro ogni chiusura egoistica; comunità accoglienti, contro ogni mentalità razzista; comunità che rifiutino ogni vendetta, contro logiche giustizialiste;
“Misericordia io voglio”: voglio, cioè, comunità che hanno fame e sete della giustizia, contro ogni atteggiamento di dominio e di discriminazione tra le persone; comunità che non si facciano “una propria giustizia”, a partire dalla quale giudicare gli altri, ma si impegnino a “rendere a ciascuno il suo”, sapendo che il “suo” di ciascuno è il dono della propria vita per amore e nell’amore trovino il compimento di ogni giustizia (cfr. Rm13,10).
“Misericordia io voglio”: voglio, cioè, comunità solidali capaci di contribuire nella vita degli uomini alla interpretazione e alla ricerca del bene comune, senza nessun sentimento di superiorità (ma nemmeno di inferiorità), nell’umile orgoglio di “essere posseduti dalla sapienza di Cristo”, con la quale illuminare il cammino di umanizzazione dell’uomo e lo sviluppo integrale dei popoli.
“Misericordia io voglio”: voglio, cioè, comunità esperte dell’umano, instancabili nella lotta contro le tante forme di barbarie che degradano la nostra umanità, fin quasi a perderla; comunità che onorano la vita umana, anzitutto perché sanno identificarla come “sacra”, “degna d’essere vissuta ed educata”, dal primo istante del concepimento fino alla morte naturale, contro la mercificazione dell’essere umano sui mercati dello sfruttamento e del piacere.
“Misericordia io voglio”: voglio, cioè, comunità sapienti che ritornino a pensare e a educare, capaci di discernere i “segni dei tempi” e di leggere con intelligenza gli eventi della storia, mettendosi a disposizione di tutti, specialmente dei giovani e delle famiglie, contro certi flussi culturali travolgenti che portano alla divisione, alla rottura, al disorientamento dell’io personale e delle nostre relazioni amative.
“Misericordia io voglio”: voglio, cioè, comunità missionarie per le strade degli uomini, in tutti i
luoghi della vita nei quali l’uomo soffre ed è fragile, ma anche ama, spera e gioisce, lavora, cresce e muore, a testimoniare l’amore di Dio con un annuncio più autenticamente cristiano del Padre della misericordia e del perdono, contro l’attitudine pigra a restare immobili “nel recinto” e a non smobilitare mai le tende e “andare”, dimenticando che restiamo sempre “nomadi della fede” (cfr. 1 Pt 2,11), in cammino, viandanti, verso la Patria del cielo (cfr. Fil 3,20). [01]
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