“Ogni diocesi deve mantenere le proprie peculiarità, il proprio modo tradurre nel territorio il Vangelo vissuto. Ma quello proposto dal Convegno è un cammino comunitario e unitario. Ad unire questo ‘andare’ delle Chiese di Sicilia sono le cinque le “operazioni” proposte dal Comitato preparatorio perché la Chiesa cammini verso l’umanità nuova: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare”. A tracciare le implicazioni pastorali della Traccia preparatoria a Firenze 2015 è mons. Antonio Staglianò, vescovo di Noto e delegato regionale al Comitato preparatorio del V Convegno ecclesiale nazionale.
Nel proporre la riflessione ai delegati diocesani al Convegno fiorentino, riuniti a Cefalù in preparazione all’evento, il Vescovo ha sottolineato che “l’uscire al quale il Convegno ci invita richiede impegno nuovo: non basta più suonare le campane, così come non è possibile dire che ‘la messa è finita” e che si può “andate in pace”. Certo, “non sappia la tua destra ciò che fa la tua sinistra”, ma anche e ancor più “vedano le vostre le opere buone e credano”.
Questo “uscire” dalle sacrestie, dalle parrocchie e da noi stessi significa portare la fede agli uomini e alla società nella quale gli uomini abitano.
Così l’uscire diventa annunciare. “Solo se è proprio necessario, si deve evangelizzare anche con le parole – ha detto mons. Staglianò –, ma deve essere l’extrema ratio. Invece, sono i gesti e i vissuti del Vangelo che danno la carne alla Parola di Dio, che la rendono viva. Occorre annunciare la Verità – ha continuato – non come un concetto, ma come una persona. Del resto ‘Io sono la Verità – ha detto Gesù – sono la Via e la Vita’. La verità è dunque un cammino”.
Uscire e annunciare, significa allora incontrare. E incontrare, se si vuole vivere l’umanità come l’ha vissuta Cristo, diventa abitare. “Non puoi interessarti delle periferie non abitandole. Significa incontrare l’uomo e la sua umanità, la sua sofferenze, il suo cammino, e fermarti con lui. Significa abitare la loro sofferenza e il loro cammino con un coinvolgimento e un amore che non è solo ‘amarsi gli uni gli altri’, ma ‘Amare come Lui ci ha amati’. Abitare – ha detto il pastore della Chiesa netina – è immedesimazione, condivisione di una passione. Quanta conversione occorre per farci partecipi della sofferenza degli altri? – ha chiesto ai delegati – Se la nostra misura è Cristo e la sua vita, non possiamo non nascere un nuovo impegno sociale, una nuova umanità che ci renda capaci di farci carico dei bisogni, non solo con una carità reale fatta di abito, pane e acqua, ma anche di carità intellettuale”.
E qui l’educare. “Non basta la carità pratica, ma occorre anche una carità intellettuale. Ritorniamo a pensare – ha esortato il vescovo –, dunque, secondo un progetto culturale orientato in senso cristiano che va verso l’autocritica del cristianesimo a cui Benedetto XVI ci richiamava. ‘Se non vi piace come siete, tornate a pensare’, per dare la vostro cristianesimo una forma nuova, più reale, più incarnata.Il progetto culturale non è fatto di accademia, studio e parola, ma va in direzione del ritorno al pensiero, perché il vero nemico del cristianesimo è l’irreligione: la concezione entusiastica del pensiero cristiano, non capace di rendere ragione della novità, della verità”.
La conversione richiamata porta alla trasfigurazione. “Noi chiediamo ‘perdonami come io perdono’ perché ‘se non perdonerete di cuore ai fratelli, nemmeno il Padre perdonerà voi”. Il Padre nostro – ha concluso mons. Staglianò – allora è la preghiera che ci fa figli e fratelli, ma che anche ci divide: quanti vivono il messaggio lasciato da Cristo e quanti, per essere religiosi, devono pregare e pregano, ma senza far seguire l’azione. Si tratta di religiosi non credenti, di uomini che non si sono lasciati umanizzare dall’umanità vissuta di Cristo Gesù”. [01]
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