“AL FRATELLO NEL BISOGNO NON SI CHIEDE LA NAZIONALITA’!”
“Parlare di famiglia e immigrazione, mettendoli in sincronia e in sintonia e chiederci ‘Dov’è nostro fratello?’ vuol dire affrontare un tema urgente e tagliente per noi cristiani. Non si può negare che si tratti di un fenomeno ci sta esplodendo tra le mani: non è facile fermalo!”. Così il card. Paolo Romeo, arcivescovo di Palermo e presidente della Conferenza Episcopale Siciliana, introducendo i lavori del Convegno nazionale voluto dalla Conferenza Episcopale Italiana a Campofelice di Roccella, Cefalù. Il titolo dell’appuntamento – organizzato dall’Ufficio nazionale per la Pastorale della Famiglia, insieme con Caritas italiana, Fondazione Migrantes, l’Ufficio nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso, l’Ufficio nazionale per l’Apostolato del mare – è “Dov’è tuo fratello? Famiglia e immigrazione”.
“La nostra fede, il nostro Vangelo, l’insegnamento di Gesù non lasciano spazio a dubbi: al fratello nel bisogno non si chiede la nazionalità! Lo si aiuta per quello che è: un uomo, un fratello, un figlio di Dio. Non possiamo discriminare chi è nel bisogno – ha continuato il card. Romeo – e, se certamente dal punto di vista civile si deve regolamentare, è illusione pensare che lo si possa fermare. Regolamentare senza negare i diritti. La questione interpella tutti, singoli e istituzioni sia laiche che religiose, uno dentro l’altro, come i cerchi che si aprono quando si lancia un sassolino in acqua”.
Parlando ai partecipanti giunti da tutta Italia, il card. Romeo ha ancora detto: “C’è l’emergenza e c’è l’accoglienza. Un’accoglienza che cambia come cambia anche il volto di chi viene: prima sui barconi arrivavano uomini, donne, minorenni, ma singolarmente. Adesso arrivano intere famiglie. Questo ci pone nuovi interrogativi e richiede un tessuto sociale ed ecclesiale forte, occorre poter recepire e creare una mentalità anche tra i cristiani: non possiamo dire non ci interessa, non si può massificare l’accoglienza”. Il presidente della CESi ha voluto soffermarsi anche sulle novità pastorali e di evangelizzazione che “i cambiamenti dei volti” appena citati comportano. “I nostri missionari sono andati ad evangelizzare in terre a volte lontane, adesso molte persone non cristiane vengono da noi. E la testimonianza della nostra fede oggi passa non solo dal clero. La gente che sbarca si interesserà della nostra fede? Lo farà se vedrà famiglie unite, società giuste, comunità che credono e vivono! Ma corriamo il rischio di diventare motivo di scandalo e rigetto. Lo siamo certamente quando c’è scollatura tra fede e vita e non si traduce più il Vangelo nell’esistenza quotidiana. La famiglia è il luogo per eccellenza – ha proseguito l’arcivescovo di Palermo -: non solo dell’amore di per sé, ma del significato e delle conseguenze dell’amore; è luogo d’eccellenza della testimonianza del comandamento dell’amore, in cui si fondono corpi, sostanze, progetti, accompagnamento … La famiglia come nucleo, oggi come non mai, in un inserimento capillare del migrante, deve sentire la responsabilità dell’annuncio … E il Magnificat ci insegna che la storia di Dio si canta nelle piccole cose: non siamo esenti dalla responsabilità di scrivere la storia della salvezza solo perché siamo piccoli e possiamo fare poco o addirittura nulla”. [01]
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