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Dalle diocesi
Pubblicato il 2 maggio 2020
Pubblicato il 2 maggio 2020

02 maggio 2020

Ufficio regionale per le Migrazioni

E’ MORTO DON FILIPPO BONASERA

E’ MORTO DON FILIPPO BONASERA

È morto don Filippo Bonasera, del clero diocesano di Caltanissetta. È stato per tanti anni collaboratore del Seres e direttore dell’Ufficio regionale per le Migrazioni della Conferenza episcopale siciliana.

I funerali in forma privata – secondo quando previsto dalle disposizioni nazionali, regionali e diocesane per fronteggiare l’emergenza dovuta al Covid-19 – lunedì 4 maggio, alle 11.30, nella Chiesa madre, di Santa Caterina di Villarmosa.

Di seguito un ricordo di don Filippo Bonasera, a cura di tanti che lo hanno conosciuto, realizzato da Mario Affronti, direttore dell’Ufficio regionale CESi per le Migrazioni. 

 

“Don Filippo è in Paradiso”,
questo il messaggio appena inviatomi da Pina Palumbo.

Negli ultimi due anni il nostro caro Filippo è stato molto male, tra ricoveri e sofferenze; ultimamente faceva pure dialisi. Pina ha detto che è andato via serenamente senza soffrire e che l’ultima volta l’ha salutato tre giorni fa mentre usciva dall’ospedale di Caltanissetta.

Questi alcuni messaggi:ho conosciuto don Filippo Bonasera all’apice del suo cammino e servizio come responsabile dell’ufficio migrazioni di Caltanissetta.

Un servizio che ha onorato “avendo amato i suoi li amò fino alla fine”

Intelligenza e sensibilità pastorale unite all’accoglienza degli ultimi; audacia nel rispondere alle tante e nuove sfide del fenomeno migratorio; docilità all’azione dello Spirito, sono alcune caratteristiche che hanno parlato a me e certamente anche a tanti.
Don Filippo, cammina ancora con noi.

P. Sergio Natoli omi

 

Cari amici, ho incontrato don Filippo, come voi tutti, una sola volta quando venni a Pozzallo per il convegno. Mi aveva colpito l’umanità di quest’uomo perchè dalle sue parole traspariva l’amore che aveva vissuto per le persone. Ed era in buona compagnia perchè io ho visto impegno e passione ed entusiasmo in tanti di voi. Da qualche tempo mio fratello don Valentino ai parenti di chi muore dice: “Buona Pasqua”.
E lo potremmo dire anche noi a don Filippo tanto più che è morto così vicino a Pasqua..Noi qui a Bergamo da due mesi siamo flagellati dalla morte che ha colpito violentemente la mia Valseriana con la sua falce.

Da due settimane i carabinieri hanno cominciato a riportare a casa le urne cinerarie, cinquecento alla volta, dai crematori dell’alta Italia.

Alcuni auspicano che : “niente deve essere più come prima” altri che:” tutto deve tornare come prima”. Io so che molti non hanno potuto non interrogarsi con paura, dolore, o magari anche rabbia, sul perchè dell’ecatombe. Nell’impossibilità di uscire di casa, di agire, organizzare e fare, certamente per alcuni questo è un tempo di pausa e di silenzio e di riflessione.Perciò noi crediamo che  “Tutto è Grazia”.

Un caro saluto con l’augurio di buon lavoro a tutti, GianCarlo Savoldi.

 

Ricevuta la triste notizia subito ho cercato qualcosa su internet ed ho trovato uno streaming datato 17 aprile 2020: un altare e la sua voce incerta e debole ma sempre incisiva.

Nient’altro o, perlomeno, molto poco e legato comunque alle vicende di Serradifalco: come la nomina a cittadino onorario o la via Crucis presso l’orto degli ulivi in contrada Balata a cui teneva molto e qualcosa ormai sbiadito della sua storia all’UCEMI, al SeRES e Migrantes. Poco, perché era un uomo che non voleva apparire, in un periodo in cui l’apparire è tutto. E’ stato come il mattone di cui parla Michel Quoist nelle sue Preghiere, quel povero mattone nascosto ed interrato nel buio della base del grande edificio. Nessuno lo vede ma lui fa il suo lavoro e altri hanno bisogno di lui, e lui lì, fedele al suo posto nella costruzione di Dio.

 

Nativo di Santa Caterina Villarmosa, 71 anni fa.

Ordinato sacerdote nel 1976, ha retto la chiesa Madonna del Carmelo di Serradifalco dal 1979. Nel 1984 delegato diocesano per le migrazioni e poi direttore del SeRES e direttore regionale migrantes.

Uomo umile e semplice, attento ai migranti.

Suo papà era emigrato in Germania e lui per molti anni passava le estati nelle missioni cattoliche di quel paese acquisendo una grande coscienza e consapevolezza del fenomeno.

Uomo, sacerdote e pastore.
Ho avuto modo di apprezzarne la tenerezza in un viaggio che qualche anno fa abbiamo fatto in Argentina per trovare gli emigranti siciliani con Pina Palumbo, sua collaboratrice inseparabile, con altri artisti e storici delle emigrazioni. Guarda caso, ricordo, fu il periodo della SARS che era scoppiata proprio in quel momento in Argentina. Oggi i nostri emigrantisono un pò dimenticati ed è strano visto che si tratta di più di 5 milioni di nostri connazionali. Ho vissuto il momento in cui la Cesi decise di rinunciare alla convenzione con la Regione Siciliana per l’assistenza spirituale dei tanti siciliani all’estero. Ne ho capito le ragioni, ma le comunità e le chiese devono fare qualcosa. Don Filippo mi ha fatto toccare con mano quanto importante sia per i nostri emigranti il legame con la propria terra e soprattutto con le proprie radici cristiane.

Lo ricordo uomo di frontiera sia nella sua piccola comunità di Serradifalco, dove sono stato suo ospite, che in giro per il mondo assieme ai suoi siciliani pellegrini come lui e, poi, ultimamente a San Leone (Agrigento) dove, sempre con Pina, ospitava i bimbi ed i ragazzi da ogni terra perchè non perdessero le radici, consapevole che senza di esse anche la frontiera perde spessore e significato.

 “…chi lavora nel campo della cura degli ‘altri’, ovvero delle persone emarginate, spessoimmigrate, ‘straniere’, deve necessariamente modificare il suo punto di vista sulla realtà. Rimettendo il margine al centro del campo visivo è obbligato a mettere in discussione la visione consolidata del mondo, a rovesciare stereotipi e luoghi comuni. Vista da vicino la frontiera perde il suo carattere rigido e indeterminato: da linea di demarcazione torna ad essere terreno comune, luogo di incontro, conoscenza, scambio. Una soglia da attraversare senza pregiudizi. Cambiando prospettiva, emarginati e immigrati sono soltanto persone,la povertà può diventare ricchezza, i problemi risorse, le distanze percorsi che ci avvicinano”.

Uomo di frontiera così mi piace descriverlo e ricordare; con dolore ma con immensa gratitudine e gioia per saperlo accanto ai suoi cari, Gesù, Maria e Giuseppe pellegrini, in primis, ai quali ha dedicato la vita. Ah! dimenticavo, aveva un grande senso dell’ironia.

Indimenticabili le sue barzellette ed i suoi aneddoti!

Anche così si vive la frontiera!

 

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