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PALERMO. SANTA ROSALIA: APPELLO CONTRO LA “PESTE DELL’EGOISMO, DEI RESPINGIMENTI E DEI MURI”

“Siamo chiamati a essere come Rosalia, ricolmi della pienezza di Dio, felici della compagnia dei fratelli e delle sorelle. Costruttori di città fraterne, giuste e accoglienti, di famiglie unite, oneste, capaci di accompagnare nella sfida educativa le nuove generazioni; edificatori di comunità cristiane che testimonino con coraggio e coerenza la gioia del Vangelo”. Lo ha detto l’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, nell’omelia della messa solenne che ha celebrato in cattedrale, in onore della patrona, santa Rosalia, domenica 15 luglio 2018. Il presule, davanti alle autorità e a una cattedrale gremita, ha parlato della figura della santa e della “determinazione di questa giovane donna di fondare la propria vita oltre sé stessa, il suo uscire fuori non solo dalla casa paterna ma soprattutto da sé stessa, dal suo ‘io’, affidandosi a un Altro, consegnandosi a Dio”. Poi, si è rivolto alla comunità, fatta di umani “convinti di non aver bisogno di nulla e di nessuno; sedicenti e impavidi creatori di paradisi artificiali; costruttori autosufficienti di torri che sfidano il cielo”. Quindi, l’incontro di Rosalia con gli altri, “l’incontro del volto, dei volti dei fratelli e delle sorelle che salivano al suo eremo”. E il riferimento ai migranti nelle parole dell’arcivescovo, che ha indicato il “volto degli uomini e delle donne che vivono a casa con me o nel posto di lavoro, che incontro per strada o sul tram, in campagna o in città, in un villaggio o in una metropoli, vicini o lontani, con il mio stesso colore di pelle o con un colore diverso: Tutti gli uomini e le donne siamo di colore”. “Il volto di ogni uomo e di ogni donna è un’icona, una immagine, un sacramento del volto di Dio”. Infine, l’incoraggiamento a rimanere “aperti a tutti, nella sincerità del cuore, nella forza dell’onestà intellettuale, nella custodia dei più alti sentimenti umani”. “Allora – ha concluso Lorefice -, non verrà meno il desiderio di Dio, il desiderio di contemplare definitivamente il suo Volto assieme all’intera famiglia umana di ogni tempo, liberata dalla peste dell’egoismo, dei respingimenti e dei muri, dell’ingiustizia, della menzogna, della corruzione, della prevaricazione, della morte psicologica, morale e spirituale oltre che corporale”.
 

“Il vero grande pericolo non è la paura, ma la rabbia, la rassegnazione, l’evasione. Se assumiamo da adulti le nostre paure potremmo assieme costruire qualcosa. Anzitutto, riconoscendo chi punta a cavalcarla questa paura, ad approfittarne per il suo misero successo personale”. Così mons. Corrado Lorefice, affermando che “sono tanti, pronti a fare dei reali bisogni della nostra terra un uso interessato, ideologico, al fine di creare il nemico da combattere, al fine di condurre battaglie inesistenti per ergersi a capi e paladini”. Dal palco di piazza Marina, mons. Lorefice ha quindi incoraggiato i palermitani a “non lasciare in mano a nessuno il nostro destino”. “Non lasciamoci manipolare, prendiamo in mano la nostra vita e il futuro della nostra città. I nostri martiri possono indicarci le strade per le soluzioni creative e partecipate”. Il riferimento è al beato Pino Puglisi, di cui ricorre il 25° anniversario della sua morte, a Libero Grassi, a Piersanti Mattarella. Rivolgendosi ai giovani, l’arcivescovo ha detto che “ad aiutarvi nella verità non è il politico che vi promette favori o il prete che vi raccomanda, ma chiunque abbia rispetto e fiducia di voi”. A proposito di Palermo Capitale della Cultura, invece, ha sottolineato che “la nostra terra avrà un futuro se abbiamo la forza e il coraggio di costruirlo assieme” contro “l’anti-cultura della mafia”. “Il gioco della mafia stringe il nostro territorio, penetra nelle nostre case, inquina la vita sociale, si incunea nella politica, persino in alcuni ambienti ecclesiali con una tracotanza che ci lascia attoniti. È vero, abbiamo paura ma dobbiamo dircelo assieme, perché le paure non vissute assieme provocano frammentazione e aggressività”.

 

Nel suo messaggio alla città in occasione del Festino della patrona, santa Rosalia, l’arcivescovo di Palermo ha parlato anche di “miopia dell’egoismo politico”: “La logica del ‘prima noi’ mostra in questa Europa tutta la sua fallacia. Rischiamo – ha detto mons. Lorefice – fratture insanabili proprio perché ogni Paese europeo comincia a ritenere che il suo benessere venga prima senza capire che, se la casa comune si distrugge, tutti resteremo privi di un tetto”. Secondo il presule, si sta diffondendo “un’illusione pericolosa”: “Che la chiusura, la contrapposizione all’altro siano una soluzione. Ma una civiltà in cui sia normale che qualcuno viva perché un altro muore è una civiltà che si avvia alla fine”. Ricordando l’impegno di Giorgio La Pira, l’arcivescovo ha affermato che “oggi ci inviterebbe a guardare le tante navi che dirigono la loro prua verso l’Europa come alle navi della speranza, la speranza della povera gente che cerca protezione e vita buona”. “Se fermiamo le navi dei poveri, se chiudiamo i porti, siamo dei disperati. Disperiamo della nostra umanità, della nostra voglia di vivere, del nostro desiderio di comunione”. Guardando all’Africa, mons. Lorefice da testimone denuncia come “negli ultimi trent’anni, è stata sfruttata dall’Occidente, depredata delle sue materie prime”. “Le multinazionali le hanno portate via senza pagare un soldo e abbiamo tenuto in vita governi fantoccio che non fossero in grado di difendere i diritti della gente. Le potenze occidentali mantengono una condizione di guerra perenne che rende più facile lo sfruttamento e consente un fiorente commercio di armi. Siamo noi i predoni dell’Africa. Siamo noi i ladri che affamando e distruggendo la vita di milioni di poveri, li costringiamo a partire per non morire”. Poi, il presule ha considerato “quelli che vengono chiamati centri di smistamento e di detenzione, quei centri che i nostri governi sollecitano e finanziano per bloccare il flusso migratorio” al pari di “campi di concentramento”. Infine, citando l’articolo 3 della Costituzione, l’arcivescovo ha auspicato che “al posto della miopia dei piccoli diritti esclusivi, riservati a pochi, che preparano un futuro di dolore e di guerra, si scriva il grande diritto della pace e del bene per tutti”. [01]

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