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PALERMO. CRISTIANI: “CAMBIARE LA DEFINIZIONE, SONO COLORO CHE CREDONO NELL’AMORE”

Bisogna “cambiare la definizione dei cristiani oggi: sono coloro che credono all’amore. Abbiamo fede in Dio ma siamo coloro che possono vivere l’amore ogni giorno con i nostri fratelli e con il nostro prossimo”. Lo ha detto Enzo Bianchi, fondatore della Comunità monastica di Bose, martedì 20 marzo 2018,intervenendo all’assemblea dell’arcidiocesi di Palermo per riflettere sulla lettera pastorale dell’arcivescovo Corrado Lorefice, “Scrivo a voi padri, scrivo a voi figli”. “Per amare Dio con tutte le forze dobbiamo avere la consapevolezza che Dio è amore”, ha aggiunto. E lo ha ribadito partendo da una riflessione. “Ciò che definisce il cristiano e mostra la differenza dai credenti in Dio è che il cristiano non deve meritare l’amore di Dio. Perché è innanzitutto un amore preveniente – ha puntualizzato -. Dio ci ama per primo. Non siamo noi che abbiamo amato Dio, è Dio che ha amato noi”. Da qui una conseguenza: “Il nostro è risposta al suo amore perché noi abbiamo creduto all’amore. Questo è fondamentale per avere un’immagine di Dio che sia coerente con la rivelazione e il Vangelo”. Poi, Enzo Bianchi ha sottolineato i tre punti attorno ai quali ruota la lettera di mons. Lorefice. “Il primo impegno per la vostra Chiesa è cercare di narrare un Dio a cui sta a cuore l’umanità, giusti e ingiusti, peccatori, malati e forti. Dio ci ama, non può essere ridotto a una legge, a una dottrina”, ha spiegato. A seguire, il tema della “conversione pastorale”. “La pastorale cambia: non si nutre di strategie e tattiche. La pastorale è prendersi cura delle urgenze della comunità cristiana, aver cura di tutti, a cominciare dei più deboli”. “Siamo nella condizione di una Chiesa che per essere se stessa, deve essere povera e fatta di poveri – ha aggiunto citando Papa Francesco -, che sappia aprire le porte ai poveri”. Infine, il terzo punto: la fede battesimale ed eucaristica. “La nostra non è una vita sotto il segno della legge, dei divieti e dei comandi. L’Eucaristia va vissuta come magistero della vita cristiana. Noi impariamo a spendere la vita per gli altri. Questo sia l’Eucaristia domenicale”.
Durante il suo intervento, Bianchi ha parlato dei “giovani che stanno nella Chiesa”, affermando che serve un “nuovo approccio di vicinanza”. “Se nel pre-Sinodo si parlerà solo sui giovani sarà un buco nell’acqua. Se i giovani riusciranno a fare sentire la loro voce allora potranno fare della Chiesa la loro casa. A loro non interessano più le parole di salvezza di cui sono piene le nostre liturgie – ha spiegato -. Se chiedete a un giovane: ‘Tu credi in Dio?’, risponde dicendo: ‘A cosa mi serve credere in Dio?’. Non riesce a capire la domanda”. Secondo il fondatore della Comunità di Bose, è necessario “avvicinarsi al mondo e alle nuove generazioni nella realtà, non in un mondo dei giovani che non c’è”. Un mondo caratterizzato “dall’incertezza del lavoro e del domani, dalla mobilità, dalla difficoltà a sposarsi”. “Bisogna dare ai giovani – ha concluso – ragioni di fiducia nella vita umana. Non devono avere paura di credere nell’amore. Non si può credere in Dio che non si vede se non si crede nei fratelli che si vedono”. [01]
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