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FIRENZE 2015. LA PAROLA AI DELEGATI: LA STRADA TRACCIATA DAL PAPA

Da Firenze fino alla Sicilia: gli interventi di alcuni dei 150 delegati siciliani ci accompagnano nel cuore dei lavori del 5° Convegno ecclesiale nazionale che si svolge dal 9 al 13 novembre 2015. A cominciare dall'intensa giornata con Papa Francesco. A commentare le parole pronunciate dal Pontefice a Santa Maria del Fiore don Gaetano Zito e don Vito Impellizzeri, rispettivamente della Diocesi di Catania e Mazara del Vallo.

“Il discorso del Papa è stato fortemente programmatico: non ha esaminato le cinque vie che guidano la riflessione di questi giorni, ma in quello che ha detto ci stano tutte”. Così don Gaetano Zito, vicario episcopale per la Cultura della diocesi di Catania, commenta a caldo l’intervento di Papa Francesco al 5° Convegno ecclesiale nazionale in corso di svolgimento a Firenze (9 – 13 novembre 2015). “Come ci ha chiesto il Pontefice, occorre riprendere le indicazioni della Evangelii Gaudium – aggiunge – ed occorre una Chiesa di popolo, inclusiva, all’interno della quale i vescovi e, a cascata, i sacerdoti sentano la necessità e il dovere di essere vicini alla gente”. Interazione dunque, e reciprocità, “perché – prosegue don Gaetano – la gente ha bisogno di noi e noi abbiamo bisogno della gente”.
La prossimità proposta dal Papa ha caratteristiche particolari, che lo stesso Francesco ha spiegato utilizzando Giovannino Guareschi: una scelta letteraria e nello stesso tempo popolare che ha offerto, nel sorriso collettivo dei delegati, uno spunto di riflessione e un esempio. Fernandel, dagli schermi in bianco e nero della televisione, per anni vestì il ruolo di un presbitero che conosceva tutti i suoi parrocchiani, ad uno ad uno: i nomi, le angosce, le gioie, le abitudini, le devozioni di ognuno: era vicino a loro. “In un contesto in cui ci sono tanti Peppone – commenta Zito -, don Camillo è una figura che s’impone proprio perché, come diceva il Papa nella sua citazione, la sua è la vicenda di un prete che vive in mezzo al popolo e con il popolo”.
Tra le parole per illustrare la dimensione inclusiva di una Chiesa che accoglie tutti e si fa vicina anche un’altra immagine: “Parlando della carità della Chiesa fiorentina, il Papa ha detto della medaglia dei bambini che venivano esposti: era spezzata a metà. Il Papa ci ha chiesto di guardare gli altri – commenta il sacerdote catanese – come la metà della medaglia che manca alla Chiesa, la quale, allora, ha un compito: farsi carico di questa altra metà per essere presente nella storia, nel tempo, nell’oggi e in questa nostra terra con la missione di umanità e umanizzazione che Cristo le ha affidato”.
Ma come calare le parole del Papa nella realtà siciliana? Don Vito Impellizzeri, che nella diocesi di Mazara del Vallo si occupa di comunicazioni, di cultura e di evangelizzazione e che insegna Teologia fondamentale presso la Facoltà teologica di Sicilia ed Ecclesiologia alla Specialistica, ripropone l’immagine dell’Ecce Homo. “In Sicilia, se vogliamo realizzare un umanesimo popolare come vuole il Pontefice, dobbiamo soffermarci su questa intuizione meravigliosa radicata nel cuore della nostra gente. Un’immagine – aggiunge Impellizzeri – che ben rappresenta quell’umanità di Cristo che il Papa ci ha detto essere conosciuta dai poveri che con Gesù condividono la sofferenza”. Il sacerdote mazarese aggiunge: “Papa Francesco ci chiede una Chiesa che abbia il coraggio e l’umanità dell’Ecce Homo, sia che si tratti dei poveri, sia che si tratti dei sacramenti. L’Ecce Homo è la scuola: l’unica norma che dobbiamo portare tra la nostra gente è Cristo, il resto non serve. Il Santo Padre ha parlato di astrattezza di progetti e di carnalità delle relazioni. Noi siamo arrivati a Firenze con cinque vie – prosegue don Vito – e lui ci ha consegnato cinque punti: tre beatitudini e due tentazioni. E non credo che il Papa, da uomo di chimica e matematico, abbia giocato coi numeri in maniera inconsapevole: chiede una conversione di mentalità”. [01] 
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