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MONREALE. MAFIA: “CHIEDO PERDONO PER I TANTI SILENZI”

“Vogliamo chiedere perdono per i tanti silenzi sulla condanna della mafia, che rischiano di trasformarsi in complicità  e vogliamo invitare al perdono  e rivolgere anche ai mafiosi l’appello alla conversione,cioè ad un serio cambiamento di mentalità e di vita”. Così mons. Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale e guida spirituale del Parlamento della Legalità in vista del Giubileo del perdono e della misericordia che sarà celebrato, nel ricordo del piccolo Giuseppe Di Matteo, ucciso e sciolto nell’acido dalla mafia, venerdì 18 marzo 2016. “La conversione non può essere ridotta a fatto intimistico, ma ha sempre una proiezione storica ed esige comunque la riparazione. Nel caso del mafioso – prosegue mons. Pennisi -, la conversione non potrà certo ridare la vita agli uccisi, ma comporta comunque un impegno fattivo affinché sia debellata la struttura organizzativa della mafia, fonte costante di ingiustizie e violenza. Urge formare una nuova coscienza basata sula moralità e la legalità per creare una reale cultura antimafia”. Nel luogo dove sorge adesso una Croce, “simbolo di risurrezione e riscatto”, sarà celebrata messa. “L’educazione alla legalità va coniugata con l’educazione alla socialità e a una cittadinanza responsabile, nell’ambito di un’educazione globale alla pace. È compito della Chiesa – prosegue il presule – sia aiutare a prendere consapevolezza che tutti, anche i cristiani, alimentiamo l’humus dove alligna e facilmente cresce la mafia, sia indurre al superamento dell’attuale situazione attraverso la conversione al Vangelo, capace di creare una cultura antimafia fondata sulla consapevolezza che il bene comune è frutto dell’apporto responsabile di tutti e di ciascuno. La lotta alla mafia passa, anche se non si esaurisce, attraverso un rinnovato impegno educativo e pastorale che porti a un cambiamento della mentalità e dei comportamenti concreti, a una profonda ‘conversione’ personale e comunitaria che trova nell’annuncio della misericordia  di Dio il suo fondamento”. Giuseppe Di Matteo fu sciolto nell’acido, dopo 779 giorni di prigionia, per punire il padre diventato collaboratore di giustizia. [01]
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