06-09 febbraio 2025
Ufficio regionale per le Migrazioni
LA COMMISSIONE REGIONALE MIGRANTES A LAMPEDUSA: IL “DIARIO DI BORDO” DI GIOVEDI’ 6 FEBBRAIO
Quattro giornate a Lampedusa per pregare, incontrare, ascoltare.
I direttore degli uffici per le Migrazioni delle 18 diocesi dell’Isola, componenti la Commissione dell’Ufficio regionale per le Migrazioni, svolgono il loro incontro di Commissione sulla più grande delle Pelagie. A guidarsi mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo e delegato CESi per le Migrazioni.
Nel corso dell’appuntamento, pubblicheremo un “diario di bordo”: il racconto di quanto avviene a cura di Elena De Pasquale, dell’Ufficio Migrantes Diocesi Messina Lipari S. Lucia del Mela, per “dare voce alle diverse anime dell’Isola e si toccheranno alcuni luoghi simbolo, in un percorso di riflessione animato da intensi momenti di confronto”.
La realizzazione del “Diario di bordo” è possibile anche grazie alla collaborazione di Nino Arena.
Diario di bordo – 06 febbraio 2025
Incontro nella sede della Guardia costiera
“Nel mare non c’è la corsia d’emergenza, non puoi accendere le quattro frecce e aspettare, nel mare un istante in più di attesa può decidere della vita o della morte di un essere umano”.
Il tenente di vascello Flavio Verde, Comandante dell’Ufficio Circondariale Marittimo e Comandante della 7^ Squadriglia della Guardia costiera di Lampedusa pronuncia queste parole senza enfasi: come le donne e gli uomini che lavorano al suo fianco, è addestrato a non mettere il sentimento davanti alla professionalità. Eppure il filo intrecciato dell‘emozione e dell’orgoglio costituisce la trama preziosa del loro impegno: “Alle persone che operano nel soccorso – afferma infatti il tenente di vascello Verde – può capitare di non dormire o di non mangiare per un’intera giornata e più e alla fine essere felici per avere strappato alla morte bambini, donne incinte, uomini“.
UNA MACCHINA RODATA. Per soccorrere le migliaia di persone che ogni anno scelgono la rotta del Mediterraneo centrale – ormai la più pericolosa tra quelle utilizzate dai migranti – è stata messa a punto una macchina i cui ingranaggi sono stati rodati da anni. Lampedusa del resto è più vicina all’Africa che all’Europa, le coste tunisine sono ad appena 113 chilometri, Pantelleria a 140, Malta a 176 e la Sicilia a 215. Le acque Sar (Search and Rescue di ricerva e salvataggio) italiane spesso… non bastano agli equipaggi della Guardia costiera italiana che partendo da Lampedusa si spingono anche nelle acque territoriali maltesi o tunisine per mettere in sicurezza donne e uomini in fuga. Per fare questo il tenente di vascello Verde può contare su un personale composto da 85 unità, sette navi delle “classi“ 200 e300 che oltre al soccorso garantiscono il pattugliamento costiero e la vigilanza sulla pesca e la navigazione di diporto nonché l’attività ispettiva in mare e al porto, la sicurezza alimentare del pescato e la salvaguardia dell’ambiente marino e costiero.
OLTRE I NUMERI. “Nel 2023 – spiega il tenente di vascello Flavio Verde, Comandante dell’Ufficio Circondariale Marittimo e Comandante della 7^ Squadriglia della Guardia costiera di Lampedusa – abbiano soccorso 60mila migranti, nel 2024 sono stati39.336 e nel primo mese di quest‘anno 2.728. Due anni fa abbiamo portato a termine 1.800 missioni percorrendo 61.100 miglia nautiche, pari a tre volte le circonferenza della Terra. Non soccorriamo solo i migranti, ma vigiliamo su chi va per mare, dai pescatori ai diportisti. L’altro giorno, per fare un esempio, con la collaborazione dei vigili del fuoco abbiamo tratto in salvo un pescatore rimasto bloccato su una scogliera a 35 metri sopra il livello del mare nei pressi del Faro di Ponente. Loro si sono calati dall’alto e noi siamo intervenuti con una motovedetta; alla fine lo abbiamo recuperato e consegnato al 118“.
IL FATTURE UMANO. “Ci mettiamo in mare – prosegue il tenente Verde – dopo aver ricevuto l’allerta dal Centro operativo nazionale di Roma o dal Settore operativo regionale di Palermo che raccolgono le segnalazioni di barconi in difficoltà. Spesso si tratta di barchini in ferro di circa 9 metri stracarichi che quando si fermano per un’avaria o perché è finito il carburante rischiano di affondare in poco tempo. La segnalazione può venire da un aereo di ricognizione del sistema di soccorso o anche da una nave mercantile o da un peschereccio che ha l’obbligo di prestare i primi soccorsi. A volte la segnalazione parte dal telefono satellitare di uno dei migranti e in quel caso la ricerca è più difficile anche se cerchiamo di ricostruire le coordinate della loro posizione. I nostri equipaggi – tiene a precisare il comandante – sono costituiti da sette persone, da un soccorritore marittimo che quando agganciamo l’imbarcazione in difficoltà deve essere ponto a tuffarsi per favorire il trasbordo dei migranti attraverso una sorta di lettiga-salvagente. A bordo ci sono anche un medico e un infermiere del Cisom e un mediatore culturale dell’Iom. Sono figure fondamentali: l’equipe sanitaria tratta immediatamente i migranti raccolti e predispone il soccorso a terra segnalando se ci sono casi particolari, emergenze o donne in stato di gravidanza mentre il mediatore culturale riceve e fornisce indicazioni fondamentali per la riuscita dell’operazione di soccorso“.
IL COLLAUDO DELLA GENEROSITÀ. Le motovedette sono collaudate per accogliere un centinaio di migranti accanto agli uomini e alle donne dell’equipaggio, eppure non è raro vederle tornare in porto con molte più persone. “La legge del mare ci obbliga a salvare le vite e – osserva ancora il comandante Verde – in determinate condizioni può accadere di doversi spingere un po‘ più in là. Non è solo la Guardia costiera ad agire così, ma tutte le forze armate, anche di altri paesi presenti a Lampedusa e con cui c’è un clima di collaborazione duraturo e forte. Al momento ci sono unità navali svedesi, danesi e lituane che, nell’ambito dell’operazione europea Frontex partecipano all’operazione Italy, mentre un nostra motovedetta tra qualche giorno dovrà raggiungere le acque greche“. All’interno dell’imbarcazione di soccorso c’è un crocifisso: “Non è un caso se sta lì – dice il maresciallo Roberto Triolo – insieme ai giubbotti e alle cinture di salvataggio, prima di partire per un’operazione di soccorso lo guardiamo e facciamo il segno della croce perché ci assista“.
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in parrocchia
LAMPEDUSA, ESEMPIO VERO DI COMUNITÀ MESSIANICA
Nel saloncino parrocchiale adiacente la Chiesa di San Gerlando si spengono le luci e nel buio riaffiorano i ricordi, le lacrime, la commozione di quei giorni lontani eppure ancora pienamente vivi nella memoria della comunità lampedusana. Su una delle pareti vengono proiettate le immagini del video, realizzato nel 2011, con cui la Fondazione Migrantes ha raccontato i giorni della grande emergenza: ed ecco apparire i volti di migliaia di donne, uomini, bambini, alcuni ancora in fasce, che hanno attraversato il molo Favaloro di Lampedusa, ma che, ancor di più, hanno toccato in modo indelebile il cuore degli isolani.
Testimonianze e ricordi
Una comunità che, al termine della funzione religiosa, alla presenza del parroco Don Carmelo Rizzo, si è raccolta per condividere con i componenti della Commissione Regionale per le Migrazioni, ma soprattutto con Monsignor Corrado Lorefice, il ricordo di quelle giornate dove «tutti noi abbiamo potuto toccare con mano la sofferenza di Gesù, perché è come se avessimo vissuto il Vangelo», sottolinea la signora Pilla, tra le parrocchiane più “attive” nei giorni dell’emergenza. “Questo luogo (la parrocchia ndr) era un cantiere aperto 24 ore su 24. La sala in cui ci troviamo adesso, ad esempio – ricorda Pilla – era quella in cui venivano raccolti i vestiti che poi venivano divisi e distribuiti; ogni zona aveva una sua funzione specifica. Eravamo tutti uniti nel condividere il dolore di quei fratelli, ma al tempo stesso eravamo felici di poter ridare loro dignità“. Dignità nella vita, ma dignità anche nella morte, quella che, invece, per Maria Martello, non è stato possibile concedere attraverso il rito della sepoltura “ai corpi di coloro che venivano sistemati all’interno di grandi sacchi neri di plastica, immagini che ho ancora bene impresse nella mente e continuano ad essere motivo di grande dolore. Tutto quello che siamo riusciti a fare lo abbiamo fatto con amore e per amore, perché era come se Gesù si stesse presentando a noi“.
Altrettanto commosse e commoventi le testimonianze di Enzo Riso e Mario Capitano, entrambi in prima linea nelle difficili settimane del febbraio 2011. “Ricordo tutto come fosse ieri – racconta Mario –, pioveva a dirotto e andammo da Don Stefano (l’allora parroco ndr), per capire come poter aiutare le persone che dormivano al porto e cercavano di ripararsi sotto i camion. È bastato un messaggio e in un attimo tutti i Lampedusani hanno aperto le porte di casa per dare il loro contributo“. Ricordi indelebili, anche quelli condivisi dal pescatore Enzo: “Inizialmente ci sentivamo impotenti, poi però tutto si è trasformato in coraggio e voglia di fare. Non c’era nulla che ci spaventasse o preoccupasse, sentivamo solo il bisogno di esserci e poter dare aiuto. La cosa che non dimenticherò mai saranno gli abbracci che ho scambiato con quei fratelli, perché è come se avessi provato la sensazione di abbracciare Dio“.
Per suor Angela Cimino a Lampedusa da più di un anno, “la missione che sto vivendo qui mi si è attaccata sulla pelle. Se mentre mi trovo a pregare ricevo un messaggio in cui viene comunicato che da lì a breve si verificherà uno sbarco e quindi sono chiamata a svolgere la mia attività di volontaria, mi dico “lascio Dio per andare da Dio” e prima di recarmi al molo l’ultima preghiera la faccio per le persone che incontrerò e per i corpi di coloro che non ce l’hanno fatta“.
Lampedusa capace di “abbracciare” le sofferenze altrui
Ed è proprio dalle testimonianze, ancora vivide, dei parrocchiani e dei volontari, che Monsignor Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo e delegato CESi per le Migrazioni ha colto spunto per lanciare un messaggio di profondo valore cristiano: “Ascoltare le vostre parole – ha affermato il vescovo – è come aver riletto dei tratti del Vangelo. Abbiamo scelto di essere qui a Lampedusa – ha spiegato – perché è solo attraverso i vostri racconti e le vostre testimonianze che possiamo far capire alle nostre comunità locali cosa significhi realmente essere comunità messianica, cristiana. Il Messia è colui che salva facendo proprie le sofferenze altrui ed è esattamente ciò che avete fatto e continuate a fare. Fin quando non capiremo questo, saremo solo un “club religioso”, ma non saremo una comunità messianica“.
APPROFONDIMENTI
- A LAMPEDUSA, “CUORE DEL MEDITERRANEO”, L’INCONTRO DELL’UFFICIO REGIONALE PER LE MIGRAZIONI. La presentazione dell’evento e la storia dell’iniziativa
GALLERIA FOTOGRAFICA
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