08 maggio 2023
Chiesa e legalità
“COME E’ MUTATA LA MAFIA E QUALE SENTIERO HA PERCORSO LA CHIESA” A TRENT’ANNI DAL GRIDO PROFETICO DI GIOVANNI PAOLO II: ?CONVERTITEVI!”
“La Chiesa è contro la mafia da sempre. Come dimenticare il cardinale Pappalardo che al funerale del generale Dalla Chiesa pronuncia con forza il ‘basta’ suo e della Chiesa tutta: ‘Siamo costretti a piangere continuamente i nostri morti’ disse, e aggiunse ancora un grave ‘Basta!’. Ma le parole accorate di Giovanni Paolo II dalla Valle dei Templi di Agrigento cambiano la prospettiva: il papa non parla più il linguaggio fino ad allora parlato, ma il suo diventa messaggio evangelico. Si rivolge non ai mafiosi o alla mafia, ma alla persona, alla gente, e lo fa con la stessa parola con la quale Gesù inizia la sua predicazione: convertitevi!”. Così mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e presidente della Conferenza episcopale siciliana, intervenendo ad Agrigento, al teatro Pirandello, all’appuntamento organizzato dall’Arcidiocesi per fare memoria dei 30 anni dal grido di Giovanni Paolo II contro la mafia e per la conversione dei criminali, per chiedersi come sia mutata la mafia e quale sentiero abbia percorso la Chiesa da quel giorno. Con lui Giuseppe Pignatone, presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, e Caterina Chinnici, magistrato e deputato del parlamento europeo, figlia di Rocco Chinnici. A moderare il vaticanista Fabio Marchese Ragona.
“Quella che tutti ricordano come la condanna espressa da Giovanni Paolo II contro la mafia fu in realtà qualcosa di più, fu – ha detto mons. Raspanti – annuncio di condanna e salvezza insieme, di giustizia certa e di redenzione e salvezza. E questo fu per i mafiosi una ingerenza gravissima nella religiosità pervertita e perversa dei mafiosi”.
Nelle parole del presule anche la lettera “Convertitevi!” presentata nel 25° dell’anniversario del “grido profetico” del Papa dalla Valle dei Templi, presentata dinanzi al tempio della Concordia, che interviene non solo sul fronte della lotta, ma soprattutto su quello della diffusione della cultura della legalità e che si pone come strumento di riflessone e spunto di dialogo con le istituzioni per “un percorso condiviso, perché non si vince la criminalità in solitudine, ma nell’ordinarietà”.
Testimone e portavoce del dolore delle famiglie delle vittime e, allo stesso tempo, del desiderio della gente di questa terra di Sicilia di reagire alla logica della paura, della sopraffazione e della morte, Caterina Chinnici, magistrato e deputato eurpoeo. Accompagnando quanti hanno affollato il teatro nelle pieghe della sua esperienza personale e familiare, ha detto della voglia di rivalsa, di legalità e di vita che le scelte – sue e di ciascuno – possono contenere. Suo anche un excursus anche attraverso i provvedimenti della magistratura e della politica italiana ed europea.
E c’era anche il nome di suo padre nel lunghissimo elenco di quelle che Giuseppe Pignatone, presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, ha definito “vittime dello sterminio di mafia”. Offrendo una lettura dell’evoluzione del fenomeno mafioso e della presa di coscienza della società, da “quando la mafia non sfidava lo Stato e la politica” a quando, “tra il 77 e l’83, ha applicato la strategia del terrore”, ha tracciato “le coordinate della consapevolezza”. Ha detto di “una intercettazione poco conosciuta ma che dà la misura dell’incidenza del discorso di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi”: “erano trascorsi 12 anni, il papa era appena morto e si celebravano i suoi funerali trasmessi anche dai mezzi di comunicazione. Ricordiamo tutti la bara, il Vangelo sfogliato dal vento. A guardare la tv – ha detto – anche i fedelissimi di Bernardo Provenzano. La polizia li ascolta quando parlano della ‘sbrasata’ che ha fatto quando è venuto ad Agrigento ritenuta pesante per i siciliani in generale. Era una condanna ufficiale della presa di posizione del pontefice e della Chiesa – ha aggiunto – perché rompeva anni di equilibri e reciproca sopportazione”.
L’attualità dell’esigenza di unire alle parole i fatti, e di farlo insieme, in maniera sistemica e sistematica, è stato al centro dell’intervento di mons. Alessandro Damiano, arcivescovo di Agrigento. “Mi è stato affidato il compito di trarre le conclusioni, ma non c’è alcuna conclusione possibile, solo cammini da continuare. Certo ben avviati – ha detto –, ma non dobbiamo cedere alla tentazione di fermarci perché, come ha detto Giovanni Paolo II salutando Agrigento 30 anni fa, occorre avanzare insieme per un futuro più giusto e più sereno”. E ancora, facendo proprio il messaggio dei vescovi di Sicilia in occasione della beatificazione del giudice Rosario Livatino, ha detto: “In 30 anni molte cose sono cambiate, ma non abbastanza: è finito il clamore, ma ci sono altre forme, meno appariscenti e perciò più pericolose, alle quali dobbiamo rispondere con sempre nuovi passi comuni”.
ALLEGATI
- Trent’anni fa il “grido profetico” di Giovani Paolo II contro la mafia ad Agrigento. L’arcivescovo Ferraro: “Liberò una comunità” – Approfondimento SIR
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