09 maggio 2021
Agrigento
ROSARIO LIVATINO È BEATO
Con una commossa e partecipata cerimonia solenne nella cattedrale di Agrigento trasmessa in diretta da Rai Uno, il giovane magistrato canicattinese Rosario Angelo Livatino, assassinato dalla Stidda nel 1990, è stato proclamato Beato.
All’inizio del Rito, mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace e postulatore della causa di canonizzazione, ha ricordato la vita del giudice: “Il suo martirio – ha detto – è stato ed è tuttora segno della assoluta, insanabile, inconciliabilità tra Vangelo e mafia”. E, parlando del suo assassinio è evidenziato come il “silenzio” che gli fu imposto oggi è “un canto di lode” e “onora la magistratura”.
Il “segreto della santità” è “rimanere nell’amore di Cristo”, ed è “una situazione che si fa drammaticamente evidente nei momenti di crisi, nei momenti in cui ‘essere cristiani’ non è più qualcosa di scontato e diventa, anzi, cosa scomoda, schernita, rischiosa, pericolosa”. Lo ha detto il card. Marcello Semeraro, perfetto della Congregazione delle cause dei santi, nell’omelia della cerimonia di beatificazione del giudice Rosario Livatino. Nella vita del martire Livatino, ha ricordato il cardinale, ritorna “il motto S.T.D. che ordinariamente s’intende come Sub Tutela Dei e che il nostro beato inseriva, magari sovrastato dal segno della Croce, in pagine speciali dei suoi scritti. I giusti, scriveva un autore del XII secolo, si collocano sotto la Croce, si pongono, cioè, sub tutela divinae protectionis e così si saziano dei frutti dell’albero della vita. È quanto è accaduto al giudice Livatino, il quale è morto perdonando come Gesù ai suoi uccisori”. È questo, per il card. Semeraro, “il valore ultimo delle sue estreme parole, dove sentiamo l’eco del lamento di Dio” e “il pianto del giusto, che la liturgia del Venerdì santo pone tradizionalmente sulle labbra del Crocifisso, dove non è un rimprovero e neppure una sentenza di condanna, ma un invito sofferto a riflettere sulle proprie azioni, a ripensare la propria vita, a convertirsi”.
“Considerando la vicenda di Rosario Livatino ci tornano vivide alla memoria le parole di san Paolo VI: ‘L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni’. Il nostro Beato lo fu nel martirio”, ha concluso il prefetto: “Credibilità fu per lui la coerenza piena e invincibile tra fede cristiana e vita. Livatino rivendicò, infatti, l’unità fondamentale della persona; una unità che vale e si fa valere in ogni sfera della vita: personale e sociale. Questa unità Livatino la visse in quanto cristiano, al punto da convincere i suoi avversari che l’unica possibilità che avevano per uccidere il giudice era quella di uccidere il cristiano”.
Dopo la lettura della formula di beatificazione è stato svelato un dipinto del magistrato con indosso la toga, che posa la mano sul Vangelo e sul Codice di Diritto penale, mentre da un’agenda che tiene nell’altra mano viene fuori un foglietto con il motto S.T.D., di cui si è detto.
Il Vangelo e il Codice penale tornano anche nella teca argentea nella quale è custodita la camicia che il giudice indossava al momento dell’omicidio. Il sangue rappreso sull’indumento, finora un ‘reperto’ esibito nei processi in Corte d’Assise a Caltanissetta, è stato per l’occasione affidato alla Curia di Agrigento come reliquia che resterà esposta per la venerazione dei fedeli.
Per il card. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, questo “martire figlio della terra di Sicilia” è il “primo giudice proclamato martire a motivo della fede professata e testimoniata fino all’effusione del sangue”. Intervenendo alla fine della cerimonia, il presule ha detto ricordato la data, la stessa dell’accorato appello di Giovanni Paolo II alla Conversione, nel 1993, proprio dopo aver incontrato i genitori del giudice Livatino. “Quanto abbiamo vissuto ci responsabilizza a testimoniare con coraggio il Vangelo con una vita di fede semplice e credibile come quella del giudice Livatino”, ha detto il presule, che ha poi consegnato un augurio: “Che questa nostra terra di Sicilia, che purtroppo ancora soffre a motivo della mentalità mafiosa, faccia tesoro di questa lezione“.

Il pensiero del cardinale Montenegro è andato ai “tanti magistrati, uomini delle forze dell’ordine, politici e a quanti altri sono stati vittime della violenza dei malavitosi ma anche a coloro ai quali era rivolto il grido di San Giovanni Paolo II”. Quell’accorato appello, “Convertitevi”, che – ha ricordato Montenegro – il Pontefice polacco elevò proprio in questo stesso giorno, il 9 maggio del 1993, proprio sotto il cielo di Agrigento, nella Valle dei Templi, e proprio dopo aver incontrato i genitori del giudice Livatino.
Papa Francesco, al termine del Regina Caeli, ha detto a proposito della beatificazione di Rosario Livatino: “Nel suo servizio alla collettività come giudice integerrimo, che non si è lasciato mai corrompere, si è sforzato di giudicare non per condannare ma per redimere”. E ancora: “Il suo lavoro lo poneva sempre ‘sotto la tutela di Dio’; per questo è diventato testimone del Vangelo fino alla morte eroica”. Dal pontefice anche un appello: “Il suo esempio sia per tutti, specialmente per i magistrati, stimolo ad essere leali difensori della legalità e della libertà”.
Nel corso della celebrazione solenne è stato reso noto anche il giorno in cui la Chiesa farà memoria liturgica del beato Rosario Livatino: il 29 ottobre.
La gioia dei Siciliani per la Beatificazione
La testimonianza di mons. Carmelo Ferraro, arcivescovo emerito di Agrigento
La testimonianza di Elena Valdetara Canale, miracolata
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