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RAGUSA. “L’ACCOMPAGNAMENTO ALLA VITA. ISTANZE ETICHE NEL FINE VITA”: FORUM DI BIOETICA

“L’accompagnamento alla vita. Istanze etiche nel fine vita” è il titiolo del Convegno di Bioetica organizzato per mercoledì 7 febbraio 2018 nel salone della parrocchia San Giuseppe artigiano, a Ragusa. L’appuntamento, che si colloca tra due importanti appuntamenti diocesani, la Giornata per la Vita e la Giornata del Malato, vuole essere occasione per riflettere sul senso cristiano della vita, dono di Dio per ogni uomo, spazio di libertà e tempo di amore, offerto a noi per costruire il bene nostro e il bene comune. A guidare la riflessione sarà Salvatore Amato, docente di Filosofia del Diritto del Dipartimento di Giurisprudenza all’Università di Catania, componente del Comitato Nazionale per la Bioetica e Presidente dell’Unione Giuristi Cattolici di Siracusa.
Così don Giorgio Occhipinti, direttore Ufficio diocesano per la Pastorale della Salute, approfondisce l’evento.
“La legge sulle ‘Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento’, approvata nel mese di dicembre dal Parlamento, “non prevede l’obiezione di coscienza del medico e della struttura sanitaria, perché rende obbligatorio porre in atto le disposizioni espresse dal paziente. Quindi, se un paziente chiede di porre fine alla propria vita in una struttura sanitaria cattolica, noi dovremmo assisterlo nella sua volontà di suicidio. Questo è in aperto contrasto con il Vangelo e il Magistero ma è anche in contrasto con la legislazione italiana, che tutela il diritto all’obiezione di coscienza. In Italia, oggi, ci troviamo a vivere uno scenario preoccupante a seguito dell’approvazione della legge, presentata come una grande conquista di libertà. La libertà deve essere orientata alla costruzione del bene della persona e del bene comune, rilevando che “non troviamo questi tratti nella legge approvata”. Non sarà un’eutanasia attiva, nel senso che qualcuno farà qualcosa per porre fine alla vita di una persona, ma può essere definita una ‘‘eutanasia giuridicamente tollerata”, sottolineando che “la valutazione della legge non può essere positiva”. Come cattolici non possiamo riconoscerci in questa legge”, sarebbe stato opportuno riflettere con serenità su alcune correzioni e miglioramenti possibili. Una legge sul fine vita poteva essere utile, ma non questa.  Bisogna valutare poi il rischio “dell’aziendalismo” anche di ospedali cattolici, confermando che “il nostro obiettivo è la cura integrale della persona, non il profitto economico”. Speravamo che fosse difesa la libertà di obiezione di coscienza dei medici e degli ospedali cattolici; speravamo che dare da bere e da mangiare non fossero considerate delle terapie, ma il diritto naturale dell’uomo al suo sostentamento; speravamo che gli ospedali cattolici non fossero costretti a rifiutare di obbedire ad una legge dello Stato quando in conflitto con una legge del Vangelo, noi non vogliamo uccidere nessuno. Quelli che operano accanto ai malati, nelle corsie e nei pronto soccorso, sanno quanti e quali conflitti si leveranno tra pazienti, familiari, medici e infermieri. Chi ha stabilito cosa? Siamo sicuri che l’ha scritto il paziente questo foglio? Abbiamo poche ore per decidere sulla vita di questa persona, a volte pochi minuti: che facciamo? Lo salviamo, lo lasciamo morire? Che significa oggi essere medico? Tante domande, nessuna risposta. Su questi interrogativi che tutti ci poniamo, è importante avere chiarezza e discernimento”. [01]
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