Pubblicato il

PIAZZA ARMERINA. ENI: UNA GIORNATA DI PREGHIERA E DIGIUNO

Monsignor Rosario Gisana, Vescovo della diocesi di Piazza Armerina, che qualche  giorni fa ha visitato i lavoratori della Raffineria Eni di Gela, in lotta per salvare il loro posto di lavoro,  ha scritto una lettera rivolta ai vertici dell’azienda. All’interno un accorato appello e l’indizione, per giovedì 17 luglio, giorno in cui a Roma è previsto un incontro cruciale fra il governo, l’azienda e il presidente della Regione Rosario Crocetta, di una giornata di preghiera e di digiuno. Alle ore 19 dello stesso giorno, in tutte le chiese della diocesi, l’Adorazione eucaristica e la celebrazione della messa. [01]

 

 Questo il testo integrale della lettera aperta del Vescovo alla diocesi:

 Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo” (Gaudium et Spes 1)

“Carissimi e amati fedeli di Gela e della diocesi di Piazza Armerina,

guardando a Cristo, che porta su di sé le sofferenze degli uomini (cf. Is 53,4), non possiamo esimerci, come comunità credente, dall’accogliere il dramma di cui è stato colpito il popolo gelese. L’ardire di invocare la misericordia divina nasce dalla vivida percezione che nessuno può, in questo momento così difficile, voltare le spalle alla contingenza di un bisogno vitale che è il lavoro di tanti nostri fratelli. Siamo consapevoli che la soluzione non è semplice, ma è pure nostra convinzione che la tenerezza, appresa dalle modalità con cui Gesù ha mostrato la sollecitudine di Dio, può esprimere creativamente forme di attenzione che non nuocerà a quanti, in tale circostanza, hanno la responsabilità diretta dello sviluppo e dell’occupazione di una larga frangia della comunità gelese e del territorio circostante. Occorre soltanto avere il coraggio di “volare alto” non pensando, almeno una volta, ai propri interessi, giacché nella misura in cui il bisogno dell’altro diventi il proprio bisogno (cf. Fil 2,4) si compie il miracolo di una società che mira soltanto al bene comune. Tale apertura rende credibile e, al di là dei molteplici tornaconti, svela una superlativa ricaduta di dignità e maestria su coloro che debbano adesso porre gesti concreti.

Non sono le critiche a risolvere le questioni che pesano sul vissuto dei lavoratori, bensì il desiderio di un dialogo costruttivo che, a partire da una non sempre scontata apertura di fondo, cerca di venire incontro sia all’uno, ovvero a quanti nell’istituzionalità della Raffineria Eni hanno il compito di pensare dentro un ventaglio ampio progetti che possano diventare modelli di sviluppo persino a livello europeo, sia all’altro, ovvero ai tanti lavoratori che rischiano di assistere al depauperamento delle loro famiglie con evidente dissesto economico nei confronti di una cittadinanza che non interessa soltanto Gela. Senza toccare le competenze altrui, il taglio di eventuali investimenti e il perseguimento di progetti nuovi e alternativi non devono intaccare l’esistente, ma piuttosto promuovere vie di innovazione tecnologica per investire su un futuro possibile e competitivo. Sacrificare l’occupazione dei lavoratori e i bisogni primari delle loro famiglie significherebbe una sconfitta della capacità d’investimento dell’Eni, oltre all’evidente atto di tradimento che purtroppo verrebbe a pesare sull’opinione pubblica. Non è facile dimenticare il danno pregresso che ha investito la salute fisica dei cittadini, i quali attendono oggi una fattiva remunerazione in termini di attenzione e voglia di innovare. È un aspetto che la cittadinanza si attende, dentro il gravoso debito di esistenze che purtroppo non sono più. Voltare la faccia ed alzare i tacchi costituiscono un atteggiamento deleterio che potrebbe non soltanto creare nuovi sistemi di male, ma anche frustrare definitivamente l’affidabilità alle istituzioni vigenti.

 

È chiesto con forza un salto di qualità morale ed economico che, pur nei suoi rischi, prospetta la contingenza di reali qualificazioni a diversi livelli. La nostra vicinanza, come comunità credente, ai lavoratori di ieri e di oggi è tesa a non far morire la speranza, dalla cui virtù scaturiscono sogni che si devono realizzare. Non è istituzionalmente equo far morire la voglia di sognare, allorché questi sogni riguardano il desiderio di un’esistenza decente, la possibilità di continuare a pensare, la concretezza di prospettive, la gioia della convivialità, l’ambizione di assicurare spazi d’incontro. Non si deve dimenticare che il territorio, che accoglie la Raffineria Eni, si affaccia sul Mediterraneo: una porta eminente su quella parte del sud del mondo che non può essere disattesa. È giunto il momento in cui si debbano destabilire interessi dissoluti al fine di perseguire l’unica possibile via d’incontro che è la condivisione tra popoli. Ne resterebbe pregiudicata l’esistenza dell’umanità”.

ULTIME NEWS