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TRAPANI. NUOVO ANNO PASTORALE: “4 A” PER ACCOMPAGNARE I GIOVANI

 
“Ascoltare, accogliere, assumere, accompagnare” sono la quattro “A” con cui la Diocesi di Trapani inizia “l’alfabeto del nuovo anno pastorale” che quest’anno, nell’ambito di un percorso triennale già iniziato, sarà dedicato ai giovani. Riassumendo il lavoro svolto dai circa 300 operatori pastorali che si sono riuniti per un convegno ecclesiale diocesano il vescovo mons. Francesco Miccichè ha proposto l’ascolto di una canzone di Giorgio Gaber, dal titolo “Non insegnate ai bambini”. Quindi ha letto una preghiera che un giovane gli ha fatto arrivare per mail che ha voluto condividere: “Signore, fa che comprendano che i giovani ne sanno molto più di loro e hanno molte più cose da dire di tante bocche vecchie e stantie. Fa’ che affrontino i loro problemi piuttosto che quelli dei giovani, dato che proprio perché giovani non hanno problemi se non quelli che gli adulti scaricano loro addosso. Fa’ che imparino dai giovani come educare i giovani. Fa’ che si smetta con la bieca ipocrisia di chi proietta tutto il proprio male di vivere su menti innocenti e pure. Fa’ che si smetta di parlare della formazione dei giovani, che si scopra il seme nuovo della loro idealità, che si stia loro accanto perché tanta idealità si trasformi in sana concretezza e non in insana follia! Per tutto questo ti prego, o Signore: scanzàtini e libberàtini!”. “A me pare che oggi c’è una domanda inconscia che il mondo pone alla Chiesa – ha affermato il vescovo – e quindi a noi credenti: “restituiteci voi la speranza! Lì dove sembra tutto franare miseramente sotto i colpi di un diffuso malessere, alimentato da una ingiustizia che ha radici nell’egoismo umano elevato a sistema, ci salva solo la riscoperta di un’umanità contrassegnata da un ordine superiore risalente a Dio creatore da cui discende la nativa dignità di ogni uomo e donna “creati a immagine e somiglianza di Dio” (cfr Gen 1,27), al di là del colore della pelle, delle caratteristiche somatiche, della lingua, degli usi, dei costumi, delle latitudini della terra in cui vivono. Penso ancora – ha aggiunto il presule – a tutte le forme di schiavitù più o meno larvate che persistono anche nel nostro mondo cosiddetto libero: la schiavitù di chi per far valere un suo diritto deve ricorrere al potente di turno, la schiavitù del bisogno, la schiavitù di chi deve soccombere ai dictat del malaffare organizzato, da noi tristemente connotato dal marchio infame della mafia, se vuole salva la vita, la schiavitù di chi non ha la possibilità di studiare, di avere un lavoro dignitoso, di fruire di una casa degna. A queste schiavitù se ne aggiungono altre che sono frutto di una cultura dello sfascio morale in cui versa l’umanità: la schiavitù del sesso, della droga, dell’alcool, del gioco d’azzardo. Davanti a questo scenario desolante il cristiano non può essere né indignato, né rassegnato. Sono caratteristiche che non si addicono ai vari discepoli del Signore Gesù”. [01]
 
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