LA ‘VIA’ SICILIANA PER CONVENIRE A FIRENZE E IL RUOLO DELLA CHIESA IN SICILIA
“La riflessione che scaturisce nel leggere il frutto della riflessione nei gruppi di studio di questi giorni attorno alle cinque operazioni indica il ruolo odierno della Chiesa in Sicilia. Non posso coniare uno slogan, propongo invece di rimanere agganciati ad un passato significativo ed essere “una presenza per servire”. Posso e voglio in poche parole raccogliere quanto è emerso in questa sede e quanto dai nostri Uffici regionali e dagli Organismi collegati si riesce ulteriormente a percepire”. Quella di mons. Francesco Casamento, direttore della Segreteria pastorale della Conferenza Episcopale Siciliana, è l’ultima relazione prevista dal programma del Convegno dei delegati diocesani al V Convegno ecclesiale nazionale di Firenze (Cefalù, 16 – 18 gennaio 2015), dal titolo “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo. La ‘via’ siciliana per convenire a Firenze”.
A mons. Casamento, dunque, il compito di cucire e sintetizzare il sentire emerso tra i partecipanti e nei laboratori di approfondimento.
“La Chiesa in Sicilia – ha detto il direttore della Segreteria pastorale della CESi – deve essere segno pacificato. La prima mistagogia, il primo modo di entrare nel mistero è quello di essere e vivere come amministratori di una multiforme grazia di Dio per l’edificazione comune, nella stima vicendevole, nella considerazione di una umanità condivisa non solo nell’aspirazione del compimento, “finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo”, ma anche nella fragilità del viandante. Basta prese di posizione e ricerca della colpa in responsabilità altrui, ma verità nella carità.
La Chiesa in Sicilia deve dare speranza: un’umanità in esodo a motivo del lavoro, della giustizia negata, della condanna al sottosviluppo, della chimera turistica a prezzo della devastazione del territorio ovvero delle politiche agricole internazionali che sacrificano prodotti e produttori, questa umanità a cui viene negata l’identità ha bisogno di una Chiesa che dia non lavoro o presentazioni ai potenti di turno o spalla solidale ad una politica inerme, bensì speranza nella testimonianza di legalità e nell’annuncio del vangelo che ha fatto la scelta preferenziale dei poveri.
La Chiesa in Sicilia deve dare codici interpretativi della realtà, deve annunciare il Vangelo illuminando le coscienze. Alla coscienza dell’uomo e della donna siciliani occorre saper dire che non è possibile credere e aderire ad una mentalità mafiosa, anche a costo di una testimonianza cruenta, sul modello di Padre Pino Puglisi; occorre saper dire e fare in modo che i beni culturali non sono solo fonte di guadagno per imprese e politici, a cui spesso prestiamo il fianco, ma vangelo scritto con i tratteggi dell’arte: è insipiente non elaborare percorsi turistici, catechetici, di evangelizzazione o anche abbandonare al loro destino realtà associate che hanno nella loro tradizione culturale la devozione e il culto, come le confraternite ovvero tante altre espressioni di arte e vita associata come le bande musicali, i gruppi sportivi, i maestri artigiani; occorre saper dire l’ingiustizia del favore, la disumanità della corruzione, la responsabilità nella partecipazione alla cosa pubblica prima ancora della sua amministrazione.
La Chiesa in Sicilia, esperta di umanità, deve convertirsi all’incarnazione, che non è solo la realtà della kenosi, ma anche il metodo dell’annuncio e dell’abitare, che svela l’importanza fondamentale dell’amore fraterno, concreto, testimone convincente.
La Chiesa in Sicilia deve rileggere il tema veronese della festa nel segno della pietà popolare come dono prezioso che trasfigura un quotidiano che si fa liturgia nella celebrazione eucaristica.
La Chiesa cristiana in Sicilia deve condurre e favorire il dialogo di fede, con l’Islam e l’ebraismo. La storia e la geografia ci hanno consegnato un ruolo strategico. Il mediterraneo non è solo luogo di morte ma anche di vita. Già molte Chiese locali si rendono protagoniste di un dialogo e di espressioni ecumeniche di cristianesimo che ci lasciano ben sperare. Continuare nello stile del dialogo e dell’amicizia tra i popoli rende meno dura la tensione che necessariamente la diversità porta con sé, a partire dalla incomprensione causata da un irragionevole approccio alla questione della immigrazione che sembra trascurare i diritti di un popolo che vuole come sa e come può accogliere senza rinunciare alle proprie aspettative di sopravvivenza”. [01]
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