“FAMIGLIE INSIEME, NUOVI ORIZZONTI PER UN FUTURO DI SPERANZA”
“Mettiamoci accanto a quell’umanità ferita che sta fuggendo dal proprio Paese di origine, che ha lasciato gli affetti più cari. Proviamo a sentire sulla nostra pelle la bruciante solitudine di chi ha perso tutto e ha visto morire i suoi sogni. E proviamo a sognare una nuova umanità: famiglie insieme che, sulle orme del Buon samaritano, accendono un futuro di speranza”. Questo l’invito di don Paolo Gentili, Direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale della Famiglia della CEI al Convegno “Dov’è tuo fratello? Il Mediterraneo crocevia e via crucis di un nuovo Esodo”.
“Il Samaritano passa lì per caso, ma ascolta con attenzione i battiti di quel cuore ferito. Così quello che era un caso è diventata un’opportunità e il suo tempo è divenuto un tempo di Grazia. Il Samaritano – continua don Gentili – innanzitutto ferma il suo tempo e ne fa dono; gli altri due conoscevano bene la legge del Signore ma non avevano compreso che “pienezza della legge è la carità” (Rom 13,10). Quante volte abbiamo rischiato di ridurre il cristianesimo a una serie di precetti che fanno sentire in regola, smarrendo l’orizzonte fondamentale dell’inno alla Carità (cfr. 1 Cor 13)? Il Samaritano poi scende da cavallo, perché dall’alto non potrebbe aiutare nessuno. Si accosta al ferito e si mette ancora più sotto di lui; perché se lo tirasse da su, gli strapperebbe la carne. Infine lo consegna alla locanda dell’uomo ferito che è la Chiesa, la novità di relazioni risanate e guarite da Cristo Gesù”.
Il Direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale della Famiglia della CEI, in un intervento con Giulia e Tommaso Cioncolini, condirettori dell’Ufficio nazionale, ha poi aggiunto: “Non possiamo vivere una chiusura verso i fratelli che arrivano da altri Paesi: è il Vangelo stesso che ci chiede di essere porta aperta. Nello stesso tempo dovremo vivere un’ospitalità adeguata e progettata.
Come crearla? Con il dono dell’ascolto. C’è un legame da far rinascere, che è quello fra il nostro sacerdozio nel sacramento dell’ordine e il sacerdozio battesimale dei laici, in particolare degli sposi. Questo legame può rivivere anche con chi, provenendo da altri Paesi, per noi resta figlio del nostro stesso Padre. È un ascolto di ogni figlio, ma in particolare di colui che è più nella prova. Si tratta di aiutare le persone che ci sono più vicine in parrocchia ad avere questo atteggiamento. A passare dall’essere figlio che si crede fedele, a fratello che ha sentito sulla sua pelle l’abbraccio del Padre.
Occorre vivere l’ascolto per abituare all’ascolto i nostri collaboratori. Di solito quando i genitori sono disposti ad ascoltare, i figli apprendono questo atteggiamento verso gli altri”.
Ma, per don Paolo Gentili, serve anche da parte nostra un passaggio ulteriore. “Non ci si può fermare ad avere dei collaboratori: occorre vivere questo passaggio dalla collaborazione alla corresponsabilità. Quando in una famiglia i figli sono diventati grandi, cambia il modo di ascoltarli.
In quante famiglie i genitori hanno smesso di ascoltare i figli, accorgendosene troppo tardi?
Forse potremmo trovare modalità nuove di ascolto delle famiglie provenienti da altri Paesi, per capire come riuscire ad intervenire prima che sia troppo tardi e portare l’olio della consolazione e il vino della speranza”.
È dal dono dell’ascolto può scaturire la disponibilità a un confronto sincero.
“Penso in particolare ai nostri Consigli Pastorali parrocchiali – ha detto il Direttore -, che talvolta si riducono a rappresentanze inerti di parti del territorio o di gruppi presenti in parrocchia, o addirittura luogo sterile di comunicazioni, piuttosto che spazio di confronto e lievito di comunione.
È solo dal confronto nutrito della luce della Parola e della sapienza del Magistero che ci si può aprire ad una vera conversione pastorale. Possiamo imparare questo confronto da un papà che chiede scusa a suo figlio per la stanchezza che gli ha fatto gettare addosso tutto lo stress della giornata, ma anche da un parroco che chiede scusa a un parrocchiano per come lo ha trattato.
Possiamo imparare dalla famiglia a costruire la comunità; una famiglia dove si vivono quotidianamente i tre atteggiamenti indicati da Papa Francesco: permesso, grazie, scusa.
La famiglia è il metodo con cui avvicinarsi alle ferite del corpo di Cristo che ci è affidato.
Possiamo sognare un Consiglio Pastorale parrocchiale che profumi di famiglia? Quello può essere il luogo dove, in un confronto fraterno, elaborare una vera pastorale delle ferite.
Questo chiede anche, approfittando di tutti i nuovi mezzi della comunicazione, di arricchirci con le esperienze di altre parrocchie e altre diocesi che da anni operano su questo fronte particolarmente delicato. Il confronto – ha concluso – non sarà scevro da rotture e avrà necessità di dialoghi risananti, di momenti di preghiera, di molto Vangelo”. [01]
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