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NEL RICORDO DEL CARD. PAPPALARDO: MESSA CON I VESCOVI DI SICILIA E RIFLESSIONE SUGLI ASPETTI CULTURALI DELLA SUA PASTORALE

I vescovi di Sicilia ricordano il card. Salvatore Pappalardo, compianto arcivescovo di Palermo e per tanti anni Presidente della Conferenza episcopale siciliana. Ne hanno fatto memoria mercoledì 17 ottobre 2018, nel centenario della sua nascita, scegliendo non la data dei suoi natali, che è il 23 settembre, ma quella della sua nomina a vescovo di Palermo, voluta da Paolo VI proprio il 17 ottobre 1970. Due i momenti a lui dedicati a conclusione della Sessione straordinaria della CESi: la solenne concelebrazione dei vescovi, presieduta da mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, in Cattedrale, e la prolusione di mons. Salvatore Di Cristina che ha inaugurato l’Anno Accademico della Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia, da lui promossa con l’Episcopato siculo.  L’arcivescovo emerito di Monreale che per diversi anni, a Palermo, fu suo vescovo ausiliare è intervenuto sul tema “Il Card. Salvatore Pappalardo. Dimensione e apporti culturali della sua pastorale”.
Durante la messa, ricordando il card. Pappalardo, definito “araldo di questa arcidiocesi, tenace e lungimirante padre fondatore della Facoltà Teologica di Sicilia”, mons. Lorefice, Gran cancelliere della stessa Facoltà, ha detto: “Far vedere ad altri Gesù, fu questa la sua intenzione più profonda nel pensare, volere e realizzare tale fucina di ricerca e di formazione teologica; come pastore, liturgo e maestro della sua Chiesa dallo sguardo lungimirante su tutte le chiese di Sicilia. È questa la motivazione che eredita ogni docente che sale sulla cattedra e ogni studente che siede tra i banchi. Questa la ragione ultima  – ha detto l’arcivescovo durante l’omelia in Cattedrale – per cui esiste questa nostra Facoltà teologica. Vedere e far vedere Gesù. Conoscerlo e farlo conoscere. In questo nostro tempo. Attenti al magistero della storia e degli uomini e delle donne del nostro tempo”. La Facoltà teologica nacque in Sicilia proprio su proposta del card. Pappalardo. Lui stesso, nel 1984, disse di essa: “La finalità è a servizio dell’opera di evangelizzazione delle Chiese di Sicilia particolarmente impegnata sul piano dell’inculturazione della fede e della catechesi nell’Isola”. In conclusione alla celebrazione che ha inaugurato l’anno accademico della Facoltà teologica, mons. Lorefice ha invitato i presenti: “La ricerca porta alla conoscenza e la conoscenza apre le porte alla fede, alla relazione con Colui che si è trovato: la Verità crocifissa. La conoscenza spinge, urge la testimonianza, urge la parola e l’azione. Una sapienza che si fa dono, un sapere che si fa condivisione, incontro, dialogo”.
Dopo la concelebrazione, nel luogo in cui il card. Pappalardo, la prolusione di mons. Salvatore Di Cristina ad inizio dell’anno accademico della Facoltà teologica di Sicilia. “Lo ha detto lui stesso in una intervista a dieci anni dal suo arrivo a Palermo: ha voluto essere innanzitutto vescovo, pastore del gregge che il Signore gli ha affidato. La sua personalità di pastore – ha detto il presule – viene fuori dalla rilettura di quello che ha fatto: si occupò molto della formazione teologica e del seminario. Volle, infatti, che il sapere teologico non fosse solo appannaggio dei chierici, ma che, nella sua forma basilare, fosse a disposizione della gente, con le scuole teologiche che dalla Sicilia si sono poi diffuse in Italia. Dialogò con il mondo dell’arte, pensando  ad una rassegna, poi ripetuta tre anni di seguito, che raccontava il sacro nell’arte a Palermo”. L’arcivescovo emerito di Monreale ha ricordato i tratti principali che delineano la “ricchezza straordinaria del ministero episcopale del card. Salvatore Pappalardo”. Sintetizzando le 34 pagine dedicate alla “dimensione e apporto culturale della sua pastorale” del cardinale, mons. Di Cristina ha evidenziato che “la cultura fu lo stile del suo essere pastore”. Nella prolusione ha detto ai presenti – con fatti, date e citazioni – della spiccata sensibilità del compianto presule per il sociale e le condizioni di vita dei singoli, delle famiglie, della città tutta, della sua profonda coscienza ecumenica, del suo spiccato e mai pavido senso di legalità e di giustizia. Ha spiegato che “pur non essendo un cultore di arte o un uomo di lettere, il suo intento è stato di elevare la cultura religiosa e cristiana del suo popolo. Lo ha fatto – ha detto quello che fu uno dei suoi più stretti collaboratoti – impegnandosi in prima persona, lasciando un’impronta nel modo di vedere e vivere la Chiesa, ma senza mai chiedere un riconoscimento del suo operato. Mai una volta – ha detto mons. Di Cristina – gli ho sentito dire ‘io ho fatto’ o ‘io ho pensato’: usava sempre il plurale, riconducendo le scelte pastorali della Diocesi ad un lavoro sinergico. La sua era una Chiesa del noi e mai dell’io. E non era stratagemma linguistico, ma vera e propria forma mentis. La maggior parte di quanto realizzato durante il suo episcopato – ha aggiunto – porta la sua firma in termini di idea e di progetto, ma ha voluto affidarlo alle mani di altri che, magari, ne risultano i promotori. Non rivendicava, infatti, la paternità di quanto lui stesso spingeva a realizzare, sebbene ne fosse il vero cuore”. L’omaggio al card. Pappalardo è stato partecipato dai vescovi delle diciotto diocesi di Sicilia. La Conferenza episcopale siciliana, infatti, deve proprio a lui gran parte della sua organizzazione: fu lui a destinare alla CESi l’edificio che tuttora le è sede e a volere la Segreteria Pastorale quale strumento di coordinamento delle attività degli Uffici regionali che riuniscono i Direttori diocesani dei diversi settori. La sua sensibilità verso la dimensione regionale e unitaria del cammino ecclesiale e pastorale della Sicilia si espresse anche nella realizzazione dei tre Convegni delle Chiese di Sicilia. “La figura del card. Pappalardo resta viva nella mente e nel cuore dei fedeli e della Chiesa siciliana” ha detto mons. Cristina a margine dell’evento e, immaginando quali indicazioni darebbe oggi ai cattolici nella sua Sicilia, ha aggiunto: “Certamente, come ha fatto già l’Episcopato siciliano, sarebbe intervenuto in merito alla questione delle migrazioni. Lo fece già quando, nei suoi anni, si registrarono i primi casi; lui si impegnò molto. Oggi prenderebbe posizione molto forte e netta, vivace – dice mons. Di Cristina -, con gli stessi toni che usò contro la mafia. Non faceva il politico, ma sapeva entrarvi con una capacità straordinaria. Di certo – ha concluso il presule – oggi avrebbe avuto modo di soffrire”. [01]
 
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