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MONREALE. “LA VERA CONVERSIONE DEI MAFIOSI”

Papa Francesco nella veglia per le vittime della mafia ha terminato con un accorato appello ai mafiosi che si rifà al vangelo:” Per favore, cambiate vita, convertitevi, fermatevi, smettete di fare il male! E noi preghiamo per voi… Convertitevi, ancora c’è tempo, per non finire all’inferno. E’ quello che vi aspetta se continuate su questa strada. Voi avete avuto un papà e una mamma: pensate a loro. Piangete un po’ e convertitevi”.
Nella maturazione nella coscienza ecclesiale di una chiara, esplicita e ferma convinzione dell’incompatibilità dell’appartenenza mafiosa con la professione di fede cristiana il riferimento principale della predicazione è ridiventato il Vangelo.
Ha avuto un ruolo importante il magistero di papa Giovanni Paolo II .
Giovanni Paolo II, nel 1991, in occasione della visita ad limina dei vescovi siciliani, così si esprimeva: “Tale piaga sociale rappresenta una seria minaccia non solo alla società civile, ma anche alla missione della Chiesa, giacché mina dall’interno la coscienza etica e la cultura cristiana del popolo siciliano”.
Il testo più significativo ,che ha molto impressionato tutti i mass-media, è stato il grido accorato del Papa ad Agrigento il 9 maggio 1993: “Dio ha detto una volta: “Non uccidere”. Nessun uomo, nessuna associazione umana, nessuna mafia può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Questo popolo siciliano è un popolo che ama la vita, che dà la vita. Non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, di una civiltà della morte. Qui ci vuole la. civiltà della vita.. Nel nome Cristo, crocifisso e risorto, di Cristo che è Via, verità e Vita, mi rivolgo ai responsabili: convertitevi, un giorno arriverà il giudizio di Dio”. Si tratta di un appello chiaramente evangelico, di competenza specifica della Chiesa e che giustifica, quindi, l’intervento pastorale.
Questa affermazione, è una chiave per comprendere l’atteggiamento di Giovanni Paolo II nei confronti della mafia o, meglio, dei mafiosi. Più e oltre che una condanna del fenomeno mafioso, il papa lancia un richiamo forte e intenso alla conversione, andando al cuore del problema: ciascun uomo renderà conto del suo operato a Dio, con cui deve necessariamente rapportarsi. Da questo testo emerge una interpretazione della mafia come un estremo rifiuto del Dio della vita e dei mafiosi che si ammantano di gesti religiosi come “atei devoti”. Gli interventi pontifici hanno avuto un indubbio influsso nei pronunciamenti di condanna delle mafie pronunciati da vari episcopati delle Chiese meridionali, dalla CEI nel documento”Per un paese solidale:Chiesa italiana e mezzogiorno” del febbraio 2010 e avranno un influsso nel giudizio che in futuro i cristiani avranno nei confronti degli appartenenti alle varie mafie.
Da questi appelli si deduce che il ministero pastorale deve rivolgersi soprattutto agli uomini mafiosi per invitarli alla conversione.
Da questo derivano alcune conseguenze in campo pastorale e dell’impegno morale.
La Chiesa, particolarmente nella predicazione e negli interventi autorevoli, non può limitarsi alla denuncia del fenomeno mafioso, per la prevalente preoccupazione di parlare all’opinione pubblica, ma deve rivolgere il pressante appello e dare un vero aiuto alla conversione, facendo prevalere la preoccupazione di parlare alle coscienze.
Urge formare una nuova coscienza di fronte alla mafia. Una nuova mentalità sarà in grado di creare una reale cultura “antimafia”: qui la Chiesa deve ravvisare il campo specifico del suo intervento propositivo ed educativo.
E’ compito della Chiesa sia aiutare a prendere consapevolezza che tutti, anche i cristiani, alimentiamo l’ humus dove alligna e facilmente cresce la mafia, sia indurre al superamento dell’attuale situazione attraverso la conversione al Vangelo, capace di creare una cultura antimafia fondata sulla consapevolezza che il bene comune è frutto dell’apporto responsabile di tutti e di ciascuno.
La lotta alla mafia passa , anche se non si esaurisce, attraverso un rinnovato impegno educativo e pastorale che porti ad un cambiamento della mentalità e dei comportamenti concreti, ad una profonda “conversione” personale e comunitaria.
La Chiesa, in forza della sua stessa missione, non può non rivolgere anche ai mafiosi l’appello alla conversione e, quindi, mettere in atto quei passi che possono condurre i singoli mafiosi a tale conversione. Tuttavia essa deve vigilare affinché l’esercizio del ministero di annuncio della misericordia di Dio non sia strumentalizzato dal mafioso, ad esempio durante la sua latitanza, e non si configuri, di fatto, come copertura o favoreggiamento di quanti hanno violato e talvolta continuano a violare la legge di Dio e quella degli uomini.
Bisogna analizzare poi criticamente il fatto che, spesso, vari mafiosi si ritengono membri della Chiesa a pieno titolo, nient’affatto fuori della sua comunione, nonostante la loro appartenenza a quella “struttura di peccato” che è la cosca mafiosa.
Nel suo appello alla conversione la Chiesa non può non fare presenti le esigenze proprie della conversione cristiana .
La conversione non può essere ridotta a fatto intimistico ma ha sempre una proiezione storica ed esige comunque la riparazione.
Nel caso del mafioso, la conversione non potrà certo ridare la vita agli uccisi, ma comporta comunque un impegno fattivo affinché sia debellata la struttura organizzativa della mafia, fonte costante di ingiustizie e violenza; anche con l’indicazione all’autorità giudiziaria di situazioni e uomini, che se non fermati in tempo, potrebbero continuare a provocare ingiustizie. La mancanza di una tale indicazione da parte del mafioso convertito, oltre a configurarsi come atto di omertà, sembra ignorare il dovere della riparazione.
C’è un nesso tra peccato di cui ci si pente e pena da assumere in espiazione del peccato.
Lo slogan “pecca confessati e continua a peccare” ha poco a vedere con la dottrina cattolica, per la quale, come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica il peccato comporta oltre una pena eterna che viene rimessa con l’ assoluzione a chi è veramente pentito, anche una pena temporale da scontare ” o quaggiù, o dopo la morte, nello stato chiamato Purgatorio”.
La grazia del perdono è stata meritata da Gesù Cristo a caro prezzo – il prezzo della sua vita donata- e non può essere svenduta a prezzi di liquidazione.
Nel caso di peccati legati all’appartenenza mafiosa, la “soddisfazione” del peccato sia da vedere anche nelle pene sancite dalla condanna detentiva della magistratura, alle quali perciò il mafioso convertito potrebbe cercare di non sottrarsi.
Alla comunità cristiana si richiedono dei gesti originali che facciano superare la concezione della pena di carattere retributivo o vendicativo, e che interpellino cattolici e laici ad interrogarsi sulle modalità di una prevenzione dei reati collegati col fenomeno mafioso impegnandosi per la diffusione di una cultura della legalità e all’educazione ad un uso modigerato del denaro che non ne faccia l’idolo a cui sacrificare tutto.
 
+Michele Pennisi, Arcivescovo di Monreale
 
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