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L’IDENTITA’ REALE DELLA FRATERNITA’ PRESBITERALE

“E' pensando che si è preti a servizio di una Chiesa che esiste in questo mondo e in vista dell'annuncio evangelico in questo contesto, che appare evidente la grande risorsa insita nel presbiterio. Occorre riconoscere che i preti stessi appartengono alla Chiesa, in quanto abitanti di questo nostro mondo e in quanto segnati – che lo vogliano o no – da questa cultura. Ciò comporta che essi potranno essere annunciatori autorevoli della Parola, sacerdoti, presidenti della comunità cristiana che vive questo nostro tempo, solo vivendosi e avvertendosi quali con-fratelli, all'interno di un presbiterio, che dovrebbe essere, anzitutto per loro, luogo di confronto della fede e del modo di renderla sensata, viva e trasfigurante l'intera realtà, all'interno di questa specifica cultura”. Così don Roberto Repole, docente di Teologia sistematica presso la sezione di Torino della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, ha guidato la riflessione sul tema del “presbiterio nella sua verità piena” visto come un “mysterium”. Nell’ambito del 4° Convegno regionale dei presbiteri di Sicilia (Cefalù, 23 – 26 novembre 2015) il sacerdote torinese ha approfondito “l’identità reale della fraternità presbiterale”.

“E’ pensando che si è preti a servizio di una Chiesa che esiste in questo mondo e in vista dell’annuncio evangelico in questo contesto, che appare evidente la grande risorsa insita nel presbiterio. Occorre riconoscere che i preti stessi appartengono alla Chiesa, in quanto abitanti di questo nostro mondo e in quanto segnati – che lo vogliano o no – da questa cultura. Ciò comporta che essi potranno essere annunciatori autorevoli della Parola, sacerdoti, presidenti della comunità cristiana che vive questo nostro tempo, solo vivendosi e avvertendosi quali con-fratelli, all’interno di un presbiterio, che dovrebbe essere, anzitutto per loro, luogo di confronto della fede e del modo di renderla sensata, viva e trasfigurante l’intera realtà, all’interno di questa specifica cultura”. Così don Roberto Repole, docente di Teologia sistematica presso la sezione di Torino della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, ha guidato la riflessione sul tema del “presbiterio nella sua verità piena” visto come un “mysterium”. Nell’ambito del 4° Convegno regionale dei presbiteri di Sicilia (Cefalù, 23 – 26 novembre 2015) il sacerdote torinese ha approfondito “l’identità reale della fraternità presbiterale”.
“Mi pare abbastanza evidente che solo un soggetto collettivo come il presbiterio possa essere all’altezza della complessità che investe la Chiesa nel suo essere e nel suo annunciare il Vangelo, in un contesto culturale di tal genere. Infatti – ha detto Repole -, tutto ciò significa, ad esempio, che ci si troverà a presiedere delle comunità cristiane in cui i cristiani avvertono e vivono la bellezza e la fatica di testimoniare e annunciare Cristo in ambiti quali la famiglia, l’università, la ricerca, gli ospedali, la politica, l’economia… che vivono di una loro strutturale autonomia; e nei quali non basta più pensarsi quale presenza ecclesiale alla stregua del passato, ma in cui è necessario ricercare i modi secondo cui abitare cristianamente questi spazi, ripensare il tutto della fede per renderla in quei contesti al contempo plausibile e inquietante, offrire argomentazioni per mostrare che Cristo è Signore anche di quelle realtà e di quelle dimensioni…. Ed è abbastanza evidente come solo un soggetto collettivo, quale il presbiterio, possa essere oggi all’altezza di tali sfide. Non basta, cioè, sulla scia di papa Francesco, parlare di una Chiesa in uscita – ha aggiutno il relatore -, se poi non si prende coscienza di quanto ciò comporti all’interno del nostro mondo e di quanto coinvolga profondamente il modo stesso di pensarsi dei preti”.
Don Roberto Repole ha proposto le condizioni di possibilità di un autentico presbiterio. 
“La prima scelta concerne i criteri di discernimento dei candidati al presbiterato. Affinché si possa avvertire e sperimentare la ricchezza di svolgere un ministero quali appartenenti ad un ordo, nel confronto, nel dialogo, nel reciproco sguardo fraterno, nella decisione comune ed anche nell’assunzione di responsabilità condivisa, è indispensabile che i preti siano uomini di relazione. Se è vero che si diventa preti entrando a far parte di un presbiterio e che ciò è particolarmente vitale nell’oggi, non si può pensare che divengano preti uomini incapaci di relazioni autentiche e mature. Uno dei criteri di discernimento, in altri termini, per valutare di una vocazione presbiterale è la verifica che sia anche una vocazione presbiteriale.
La seconda scelta concerne il fatto di pensare a dei progetti pastorali che non siano il frutto dell’energia, dell’intelligenza o della sensibilità di uno o di alcuni, ma vedano realmente coinvolto l’intero presbiterio; così come, a diversi livelli, l’intera comunità cristiana. Perché, è troppo evidente, che non si può chiedere un “gioco di squadra” – per usare una metafora sportiva – se c’è coscienza comune del gioco che si fa e degli obiettivi che si intende raggiungere”. [01]
 
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