Pubblicato il

CONVEGNO DEI PRESBITERI: “NON PIU’ SERVI, MA FIGLI E FRATELLI”

La cosiddetta parabola del Figliol prodigo narrata nel Vangelo di Luca è stata al centro della meditazione che ha aperto la seconda giornata del 4° Convegno regionale dei presbiteri (Cefalù, 23 – 26 novembre 2015). A presentarla ai presbiteri che, accompagnati dai loro vescovi, sono arrivati dalle diciotto diocesi di Sicilia per riflettere sul tema “Ordinati al presbiterio per una Chiesa in uscita. A cinquant’anni dal Decreto conciliare Presbyterorum ordinis”, è stato don Angelo Passaro, docente di Esegesi presso la Facoltà teologica di Sicilia

La cosiddetta parabola del Figliol prodigo narrata nel Vangelo di Luca è stata al centro della meditazione che ha aperto la seconda giornata del 4° Convegno regionale dei presbiteri (Cefalù, 23 – 26 novembre 2015). A presentarla ai presbiteri che, accompagnati dai loro vescovi, sono arrivati dalle diciotto diocesi di Sicilia per riflettere sul tema “Ordinati al presbiterio per una Chiesa in uscita. A cinquant’anni dal Decreto conciliare Presbyterorum ordinis”, è stato don Angelo Passaro, docente di Esegesi presso la Facoltà teologica di Sicilia. “C’è un lessico che deve accompagnare il nostro ministero”, ha detto il sacerdote guidando la riflessione e incentrandola sulla parola “fraternità”. “Sappiamo tutti come l’evangelista Luca proponga alla nostra attenzione il viaggio di Gesù verso Gerusalemme, quasi a sottolineare che il nostro cammino ha un inizio, una meta e soprattutto un modello: noi ripercorriamo la strada di Gesù. E ci mettiamo in ricerca – ha detto Passaro -, proprio come nelle parabole che, in Luca, fanno il paio con quella del Figliol prodigo. E quello che si cerca in quest’ultima altro non è che il Padre. Ma il volto di Dio che ci viene proposto è inatteso, inaspettato: è il volto di un padre. Un padre – aggiunge – che compie delle azioni che non sono in sintonia con quello che ci si aspetterebbe da un padre: ‘Acconsente’ a dare la sua parte di eredità al suo secondogenito; “Lo vede e gli corre incontro” capovolgendo quello che generalmente avviene, perché di solito è il figlio che corre incontro al padre; “Esce fuori a pregarlo”. C’è una innegabile inversione di ruoli”. Spiegandone le motivazioni, quasi un’ammonizione della quale si fa portavoce don Angelo Passaro: “Non fate della norma il criterio dell’esistenza, il perimetro e la ragione della vostra vita. La norma è solo la conseguenza naturale ad un Dio che si consegna: al centro e nel cuore ci deve essere la relazione che ci fa vivere da figli e non da servi. Nella parabola – ha spiegato ancora don Angelo – il padre non aspetta di sentire le parole che il figlio aveva preparato per lui, ma già da subito intesse una relazione attraverso un ‘commuoversi’ che nasce nelle viscere e che è indicato con un termine che indica anche il grembo materno. Ecco allora che il figlio è rigenerato. Il figlio maggiore, intanto, si propone con una certa subalternità servile e con autoreferenzialità. Ma, se non si riconosce figlio – ha concluso il docente di Esegesi -, come può considerare l’altro un fratello? Ed è questa la responsabilità – nel senso proprio di abilità a rispondere – alla quale siamo chiamati: avere la misura della figliolanza di Gesù, per il dono dello Spirito. Allora la fraternità è una questione teologale che, come sacerdoti, ci riguarda particolarmente: ci chiamano padri, ma corriamo il rischio di dimenticare di essere prima di tutto figli, anche quando i percorsi che la fraternità ci propone possono essere ardui”. [01]
ULTIME NEWS