6-7 giungo 2025
Ufficio regionale per le Migrazioni
MIGRAZIONI: UN “CUORE CALDO” PER UNA COMUNITÀ MESSIANICA: L’EREDITÀ DI PAPA FRANCESCO CHE HA TROVATO RADICE A LAMPEDUSA
A Bagheria, presso l’Oasi “Cusmaniana” delle Suore dei Poveri, si sono svolte due giornate di confronto e riflessione della Commissione Regionale per le Migrazioni della C.E.Si., alla presenza dell’Arcivescovo Mons. Corrado Lorefice.
“Il giorno successivo al funerale di Papa Francesco ho incontrato una delle tante persone bisognose che Bergoglio aveva conosciuto nel corso del suo pontificato, e quest’uomo mi ha detto che Papa Francesco era un papa dal “cuore caldo”. E aveva ragione, era proprio così“. Nel rivolgersi ai Direttori Migrantes delle diocesi di Sicilia e ai loro collaboratori, Monsignor Corrado Lorefice, Arcivescovo di Palermo, Vescovo delegato per le Migrazioni della C.E.Si. e membro della Commissione Episcopale delle Migrazioni della CEI, ha saputo trasmettere in modo chiaro e diretto proprio quel “calore” che ha caratterizzato il pontificato di Francesco.
L’occasione è stata la due giorni di confronto e riflessione svoltasi il 6 e 7 giugno presso l’Oasi “Cusmaniana” delle Suore del Boccone del Povero di Bagheria. Un appuntamento che, come spiegato dal diacono Santino Tornesi, Direttore dell’Ufficio Migrantes Regionale, ha avuto come obiettivo l’ascolto, il confronto, la preghiera, ma soprattutto la riflessione su ciò che ha rappresentato per la Commissione Regionale la discesa a Lampedusa avvenuta nel febbraio scorso, e su ciò che occorre fare per individuare e costruire nuove piste pastorali in tema di migrazione e mobilità umana, in un tempo in cui tutto sembra essere pensato non per accogliere, ma per respingere l’altro.
Nell’intervento introduttivo della prima giornata di lavori, il Vescovo Lorefice, prendendo spunto dall’esperienza lampedusana e dal valore messianico di quella comunità – capace di farsi carico della sofferenza dell’altro nei giorni della grande emergenza del 2011 – ha tracciato un approfondito
excursus sul papato di Francesco, partendo da quella data simbolica dell’8 luglio 2013. Un viaggio che ha avuto una prospettiva internazionale e che ha sollevato tre domande che, ancora oggi, devono attraversare i cuori non solo dei cristiani, ma anche di coloro che reggono le sorti della casa
comune: «Adamo, dove sei?» – «Dov’è tuo fratello?» – «Chi ha pianto per loro?» “Non sono un vero cristiano se non ho la consapevolezza che ogni volto umano mi appartiene” ha affermato Lorefice.
Quell’umanità, ha aggiunto, l’ha ritrovata anche nella mattinata che ha preceduto l’incontro della Commissione, nei volti di un gruppo di ragazzi ghanesi presenti a Palermo, alcuni di fede cristiana, altri musulmana, riuniti per celebrare insieme la Festa del sacrificio (Eid al-Adha). Una ricorrenza
che commemora l’atto di sottomissione a Dio del profeta Ibrahim (Abramo), pronto a sacrificare il figlio primogenito, Ismaele (Isacco per i cristiani), il cui corpo fu sostituito, proprio all’ultimo istante, da un montone.
“Non possiamo non cogliere – ha evidenziato Lorefice – come affermava Papa Francesco, che nel travaglio della mobilità, nella difficoltà e nel dolore di chi tenta di attraversare i Balcani o solcare il Mediterraneo in cerca di vita e di speranza, vi sia un autentico segno dei tempi”.
Esattamente come accadde nel 2011, quando Lampedusa e i lampedusani vissero sulla propria pelle l’urto di un’esperienza epocale. Lo hanno raccontato Nino Arena ed Elena De Pasquale, cronisti volontari dell’Ufficio Migrantes di Messina, presenti anche in occasione della visita della Commissione nel febbraio scorso. Entrambi hanno sottolineato come oggi l’arcipelago delle Pelagie si senta orfano, e forse anche un po’ smarrito, rispetto a un modo di vivere l’accoglienza ben diverso da quello del periodo dell’emergenza Nord Africa. Allora, aprire le porte di casa per offrire ospitalità era la norma, non l’eccezione. Perché la parola d’ordine era umanità.
Un’umanità che oggi, invece, risulta imbrigliata entro rigidi protocolli organizzativi che impediscono l’incontro, la prossimità, lo sguardo reciproco. Tanto che – denunciano – si rischia di perdere del tutto la percezione di ciò che accade a pochi passi da casa, proprio su quel molo dove il
dolore è visibile nei volti di chi sbarca.
A contribuire alla riflessione sono stati anche i Direttori e i collaboratori degli Uffici Migrantes di Sicilia. I primi a prendere la parola sono stati i volontari Carola Piraneo e Antonio Ferro (Migrantes Agrigento), che hanno definito l’isola delle Pelagie “un telescopio sul mondo, capace di osservare
in anticipo ciò che altrove spesso si ignora: migrazioni, conflitti, speranze, dignità“.
“Ma Lampedusa è anche uno specchio – hanno aggiunto – che ci costringe a chiederci chi vogliamo essere e cosa portiamo dentro“.
Per il diacono Santo Rizzo (Migrantes Catania), “l’unità con cui i lampedusani si sono mossi nella fase dell’emergenza mi ha fatto pensare a quando, negli Atti degli Apostoli, si legge: avevano un cuore solo e un’anima sola. Quella terra è stata un esempio di grande umanità e solidarietà e non può essere dimenticato“.
E da qui nasce l’urgenza di individuare nuove piste pastorali che stimolino non solo Lampedusa, ma anche le altre diocesi. Come ha sottolineato Luca Polello (Migrantes Palermo): “Dobbiamo capire cosa cambiare nel nostro lavoro pastorale. L’esperienza vissuta sull’isola è stata un tempo di grazia e di possibilità, che oggi rilancia l’urgenza di un’azione ecclesiale attenta,
profetica e solidale verso chi vive la migrazione come prova e come speranza“.
Una sfida che impone di interrogarsi su come muoversi per non perdere, e continuare a coltivare, quei semi di speranza che a Lampedusa sono ancora radicati. È quanto testimonia anche Donata Genovese, focolarina del Movimento dei Focolari (Opera di Maria), che dal settembre 2023 vive
nell’arcipelago con altre due consorelle, per mettersi a servizio della comunità:
«Una volta arrivate – racconta – ci siamo rese conto che la realtà è molto diversa da come l’avevamo immaginata. È difficile offrire un aiuto concreto ai migranti, perché non c’è quasi più occasione di incontro: arrivano al molo Favaloro e in pochi minuti vengono caricati sui pullman
della Croce Rossa e trasferiti all’hotspot di contrada Imbriacola. Abbiamo deciso di partecipare alla Commissione per capire, attraverso l’ascolto e il confronto, come possiamo essere comunque utili“.
Un bisogno importante, che trova eco anche nelle parole di suor Alessandra Martin (Migrantes Mazara del Vallo): “Il viaggio a Lampedusa mi ha confermato quanto sia urgente lavorare per i diritti delle persone. Fino a che punto, come cristiani, siamo disposti a lottare per tutelare la dignità
umana? E fino a che punto, come Chiesa, siamo pronti a impegnarci per la salvezza di persone che oggi, nel XXI secolo, vengono ridotte in schiavitù?“.
Domande cruciali, che richiamano alla mente una delle frasi più incisive pronunciate da Papa Francesco durante la sua visita dell’8 luglio 2013: “Il rischio è che nella società globale prevalga la globalizzazione dell’indifferenza“, soprattutto verso le tante donne, uomini e bambini che
scompaiono nel Mediterraneo, senza nome, senza volto, ricordati solo come numeri.
Elena De Pasquale
Ufficio Migrantes Messina
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