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PALERMO. LA CARITAS FORNISCE ARREDI SACRI AL CARCERE UCCIARDONE

La Caritas a sostegno dell’impegno di frate Carmelo Tonino Saia, cappellano all’interno del carcere Ucciardone di Palermo. Una figura diventata il punto di riferimento morale e psicologico, oltre che religioso, di chi vive la dura realtà carceraria. I suoi “parrocchiani”, infatti,  come lui ama chiamarli, sono soprattutto detenuti e agenti della polizia penitenziaria, che spesso chiedono aiuto e supporto. La Caritas diocesana ha deciso di dedicare la sua attenzione e accendere i riflettori sulle problematiche, spesso taciute, delle case circondariali. Vuole farlo attraverso un segno spirituale e, allo stesso tempo, concreto: gli arredi sacri e l’allestimento della “Cappella della Rotonda”, presente al centro della struttura, contribuendo a pagare le spese per il restauro del tabernacolo e della vetrata artistica.
Distribuite per tutta la casa circondariale ci sono sei cappelle, una per ogni sezione dove si celebrano le funzioni religiose. In alcune cappelle la Caritas ha già provveduto all’acquisto dell’arredo sacro.

A luglio, invece, è prevista l’inaugurazione della cappella centrale.
“Creare momenti di raccoglimento e preghiera in ogni sezione è importante – riferisce fra’ Carmelo, cappellano da 4 anni al carcere Ucciardone -. Spesso il detenuto rinuncia ad un’ora d’aria per dedicarsi alla preghiera. In carcere si respira sofferenza e umiliazione. Si tratta di un ambiente disumano, un mondo dove il giusto è sbagliato e il sbagliato è giusto”.
Ad ascoltare ogni giorno i detenuti di tutte le sezioni del carcere c’è proprio il frate cappuccino  che, con la sua presenza, ha avvicinato il carcere al territorio e viceversa. “C’è chi decide di intraprendere proprio un percorso spirituale che in qualche modo lo aiuta a vivere la quotidianità della reclusione in maniera meno dura – aggiunge il cappellano -. La detenzione in carcere è pur sempre una convivenza forzata, con tutti i problemi del caso. Nella gran parte delle volte si lavora per evitare i disagi, le tensioni e gli attriti che possono sorgere tra i detenuti”. [01]

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